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Portfolio Construction - L'opzione? Una tigre nel motore dei fondi

4/22/2015 | Fabrizio Guidoni

E’ questa la tendenza emergente tra i grandi asset manager che si trovano ormai da tempo a dover fare i conti con rendimenti di mercato da un lato schiacciati sul fronte obbligazionario e dall’altro, su quello azionario, eccessivamente volatili.


“Metti una tigre nel motore” recitava una famosa pubblicità di una benzina che alzava il rendimento e la durata nel tempo, potremmo quasi dire la sostenibilità, di una macchina. Oggi per i gestori di grandi asset potremmo tranquillamente declinarla in “metti un’opzione nel portafoglio”. E’ infatti questa la tendenza emergente tra i grandi asset manager che si trovano ormai da tempo a dover fare i conti con rendimenti di mercato da un lato schiacciati sul fronte obbligazionario e dall’altro eccessivamente volatili, seppur positivi, su quello azionario.

 

In realtà, che le opzioni aggiungono valore alle asset allocation non è una cosa del tutto nuova. Una recente ricerca firmata “Institute for Global Asset and Risk Management”, eseguita su 14 anni di storia e performance di fondi, fondi chiusi ed Etf USA azionari legati a Wall Street che utilizzano anche le opzioni per ottimizzare il rischio/rendimento, ha portato a una conclusione inequivocabile: le opzioni abbattono il rischio dei portafogli e delle asset allocation mediamente del 30%.

 

Il fatto che sia per sua natura uno “strumento finanziario derivato” non deve spaventare. E’ certo vero che è per definizione un contratto a termine che attribuisce al compratore il diritto di decidere se acquistare (caso call) o vendere (caso put) un'attività sottostante a (oppure entro) una certa data a un prezzo prefissato. Ma è altrettanto vero che è quasi sempre quotata sui mercati regolamentati, quindi garantita a livello di rischi di controparte da una Cassa di garanzia e compensazione. Ma che soprattutto costituisce uno strumento di investimento molto versatile e, se conosciuto e usato bene, regala ai portafogli una marcia in più.

 

Come vengono impiegate oggi dagli asset manager più evoluti? Gli scopi sono essenzialmente due: generare extrareddito rispetto alla normali fonti di yield come ad esempio bond e dividendi azionari, e ridurre la volatilità di portafoglio. In sostanza, nei fondi “income”. Per ottenere questi obiettivi vengono soprattutto vendute opzioni azionarie, cioè legate a indici di Borsa o azioni: alcuni preferiscono vendere call, altri put. Dipende dalle strategie e soprattutto dal rischio/rendimento atteso dal resto del portafoglio. Vediamo due esempi.

 

Il primo fa riferimento alla strategia chiamata covered call. Al classico portafoglio azionario si associa una struttura aggiuntiva costruita ponendosi come venditori di opzioni call, quindi incassando il premio che paga chi le compra, al fine di incrementare il reddito  determinando nel contempo una minore volatilità delle performance. E’ il caso, a grandi linee, del fondo Global Multi-Asset Target Income di Pioneer Funds che utilizza la strategia “Covered-Call Overlay”. Il risultato? Nell’ultimo anno e mezzo ha avuto rendimenti aggiustati per il rischio più elevati rispetto alla categoria.

 

Punta invece sulla vendita di opzioni put il Global Balanced Income di Morgan Stanley Investment Funds. Così spiega la strategia il gestore Andrew Harmstone: “Abbiamo selezionato  opzioni put negoziate in Borsa con elevata liquidità sui principali indici azionari. Per esempio, abbiamo acquisito esposizione a titoli azionari statunitensi attraverso opzioni put short sull’indice S&P500. Puntiamo sull’importo di ogni singola vendita di opzioni per garantire che l’esposizione azionaria prevista rimanga fedele al processo di asset allocation. L’esposizione nozionale massima alle opzioni put scoperte su tutti gli indici azionari combinati è pari al 20% del valore del portafoglio. Con questo limite crediamo di poter generare un reddito incrementale compreso tra il 2 e il 4%, oltre al reddito  generato dagli asset sottostanti".

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