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1/28/2014 | Alessandro Chiatto
La salute dei mercati emergenti è molto più solida rispetto a 15 anni fa. Lo afferma Peter Marber, head of emerging market investments, di Loomis Sayles & Company (gruppo Natixis Global AM).
Il 2014 è un anno di elezioni in molti mercati emergenti – tra gli altri Brasile, Sudafrica, Turchia, Indonesia. Pochi dei politici in carica intendono attuare pesanti pacchetti di riforme che potrebbero mettere a rischio la ri-elezione. E i mercati stanno punendo chi ha fallito nel processo riformatore.
Le notizie della scorsa settimana – un rallentamento della Cina, pesanti svalutazioni in Argentina e Venezuela, caos in Egitto, proteste in Ucraina, allarmi terroristici ai Giochi Olimpici, pesanti ribassi nelle valute del Sudafrica e della Turchia – danno l’impressione generale che i mercati emergenti siano ancora in uno stato di crisi. In questo scenario, i trader iniziano a vendere per poi vedere cosa accade in un secondo momento.
Anche mercati solidi, dove le riforme sono state avviate, come Messico, Russia e Corea del Sud, sono stati colpiti.
Molto di questo panico sembra ingiustificato. Rispetto al 1998, i mercati emergenti detengono oltre 7.000 miliardi di dollari in più di riserve in valuta forte in modo da proteggersi dalla volatilità dei mercati. Per la gran parte degli emergenti, i problemi attuali non sono come quelli della metà degli anni ‘90. Davvero pochi paesi sono vicini al deafult e quelli che possono esserlo sono relativamente piccoli. Certamente alcuni paesi hanno delle difficoltà – come Argentina, Venezuela e Ucraina. Ma da un punto di vista generale, la salute economica dei mercati emergenti è molto più solida che 15 anni fa.
Gli eventi di questi giorni rappresentano una sveglia per alcuni governi degli emergenti: o le necessarie riforme vengono attuate o dovranno affrontare gli attacchi potenziali dei mercati.
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