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10/12/2012 | Massimo Morici
Come sarebbe il mondo, anzi gli Stati Uniti d’America, senza la Fed? Ha provato a immaginarlo Tony Crescenzi di Pimco in un recente intervento in cui critica i detrattori dell’attuale politica monetaria di Bernanke. Crescenzi torna al settembre 2008, quando alcuni dei principali istituti di credito americani fallirono in seguito alla crisi dei subprime. Ma ecco il racconto.
I mercati finanziari sono in subbuglio e la Borsa cola a picco, racconta Crescenzi. Le banche d’affari sono piene di debiti, sotto il peso delle perdite per le scommesse fatte durante il boom immobiliare: i debiti alla fine sono più consistenti di ciò che possiedono e l’unica possibilità è quella di liquidare le attività.
Una vendita tira l’altra, anche se la liquidazione del debito non sarrebbe un fattore negativo: peccato che sia avvenuta tutta in una volta. La liquidazione del debito, infatti, in un sistema in chui le banche prestano più denaro di quello che hanno in cassa, provoca la contrazione della massa monetaria e con essa subentra la deflazione. Così anche i prezzi di oro, argento, vino e opere d’arte perdono vigore a causa della carneficina in Borsa.
La caccia alla liquidità passa la palla ai creditori e fa salire i tassi di interesse reali: il denaro scarseggia. Tra fallimenti, utili in calo e la difficoltà a ottenere credito, le imprese non hanno altra scelta se non quella di frenare la produzione e ridurre l’occupazione, alimentando un circolo vizioso. Manca un interruttore poiché non c’è una banca centrale (la Fed), e il ciclo non si può interrompere in assensa di uno stato patrimoniale consistente.
Il finale è drammatico: una folla impazzita riempie le strade e corre agli sportelli bancari per ritirare i propri risparmi; le casse delle banche si svuotano: non possono soddifare le richieste di tutti in una sola volta. Non ci sono soldi per impedire la fuga dei clienti, non ci sono soldi per impedire allae aziende di fallire, non ci sono i soldi per frenare il crollo dei prezzi delle attività.
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