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7/30/2012 | Massimo Morici
Se avete ancora dubbi su quali sia la convenienza di comprare Bund piuttosto che i titoli di Stato nostrani, provate a considerare alcune ipotesi. Magari solo per gioco. Potremmo partire, per esempio, da una semplice riflessione sui tassi (negativi pqe quelli tedeschi). Come ha fatto oggi, nella sua consueta newletter settimanale, Giorgio Mascherone, cio di Deutsche Bank Italia: 1.000 euro investiti in un governativo italiano con scadenza agosto 2015 diventerebbero 1.141 euro a scadenza (incluse le cedole); degli stessi 1.000 euro investiti in un bund tedesco di pari durata ne tornerebbero 956 euro.
Tuttavia un risparmiatore in preda al panico potrebbe rispondere che a spingerlo verso i titoli governativi tedeschi sia stata l’affidabilità di quel paese rispetto allo spettro dell’insolvenza che incombe sui paesi mediterranei dell’area euro, Italia compresa. Eppure c’è chi sostiene che siano da preferire anche negli scenari peggiori (rottura dell'Eurozona, uscita dell'Italia o persino un default) i titoli governativi nostrani. Lo ha fatto tra gli altri anche Alessandro Fugnoli di Kairos Partner SGR, nella sua ultima newsletter in cui ipotizza il dissolvimento dell’euro o l’uscita dell’Italia (verso il basso) o della Germania (verso l‘alto). Ad oggi, infatti, chi investe oggi 100 euro in un Btp decennale avrà raccolto nel 2022 interessi per 65 euro (senza calcolare gli interessi composti). Chi invece si compra un Bund ne avrà incassati 12.
“Mentre possiamo essere certi che l’Italia rimborserà i suoi Btp nella valuta più debole - spiega l’economista - non possiamo essere altrettanto sicuri che la Germania rimborserà i suoi in quella più forte". Nulla vieta infatti che la Germania, anche una volta ripristinato l’amato marco, rimborsi in euro i suoi Bund emessi in euro, spiega Fungoli. In questo caso, anche a euro riconfigurato e a marco rinato a nuova vita, è possibile che "che il compratore di Btp si ritrovi alla fine con 165 euro e il compratore di Bund con 112".
Ipotizzando, inoltre, un cambio con il dollaro di 1,54 per il marco e 1,05 per la lira, si ottengono due valori che renderebbero indifferente avere nel 2022 165 lire da una parte oppure 112 marchi dall’altra (l’equivalente di 173 dollari). Un’evoluzione realistica quest’utlima, secondo l’economista, se si accetta che l’Italia, una volta riconquistata (o subita) l’indipendenza valutaria, “cerchi di tenersi insieme e di non scivolare verso l’iperinflazione”, e che per la Germania “succeda esattamente il contrario”.
Considerando infine l’ipotesi più pessimista di un default del nostro Paese, ciò in realtà (salvo un'evoluzione in stile Atene) potrebbe tradursi in un haircut, “un bel taglio al valore nominale o all’interesse che l’obbligazionista contava di vedersi pagato” nell’ordine del 32%, tenendo presente la differenza tra i 165 euro del Btp e i 112 del Bund. E al momento “il più cupo e infelice dei pessimisti, Nouriel Roubini, si spinge a dire che, nel caso peggiore, all’Italia toccherà un haircut del 30 per cento”.
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