La variazione del tasso di interesse non è più un fattore di rischio insito nell'attività finanziaria, ma sta diventando a sua volta un prodotto. La provocazione è di Guido Salerno Aletta dalle colonne di MF - Milano Finanza. Gli spread sui titoli di Stato europei, scrive l'economista, stanno soppiantando il valore degli altri indici tradizionali, anzi "sono rilevazioni e andamenti molto più opachi e meno controllabili delle pur ipotizzate manipolazioni sul Libor". Il valore del denaro, infatti, "non lo fanno le banche scambiandosi ufficialmente il denaro a tempo, ma i rischi che il denaro costi di più o di meno nel tempo".

Salerno Aletta invita a guardare i dati riferiti ai derivati sui tassi di interesse per sigonla valuta. Così si scopre che quelli riferiti al dollaro sono rimasti pressoché stabili nel tempo, oscillando tra i 153 mila miliardi nel 2009 ai 161 mila di fine 2011. Quelli riferiti all'euro, invece, sono passati da 175 trilioni di dollari nel 2009 al picco di 219 trilioni di giungno 2011, per scendere poi a 184 trilioni a fine anno. 

Quindi? I soli contratti derivati sui tassi di interesse riferiti all'euro rappresentano un terzo dell'intero valore di mercato e si arriva a due terzi se si considerano quelli riferiti ai tassi di interesse sul dollaro. La fissazione dei tassi ufficiali, prosegue l'economista, muove immediatamente alcune convenienze finanziarie "ma si riflette molto indirettamente su quelle dell'economia reale". Qui, spiega, ormai i tassi praticati sono legati ad alti parametri. In Europa, per esempio, ai tassi di interesse pagati sui titoli di Stato. Ecco perché le decisioni della Bce sul tasso di riferimento comportano effetti sempre più ridotti nel rapporto tra economia reale e sistema bancario.