Bella contraddizione. Dall'inizio del 2010, l'industria degli hedge fund ha registrato un afflusso di circa 150 miliardi di dollari, una somma che lascia ben sperare anche per future impennate nel flusso degli investimenti in fondi speculativi. Nello stesso periodo la media degli hedge ha toccato un ritorno di solo 7,5%, a differenza del 9,3% del mercato azionario globale e quasi il 15% dei bond.
 

 

La spaccatura tra "popolarità" e "recenti performance" mette in chiaro che, nonostante continuino ad essere tacciati di destabilizzare il mercato come "speculatori", gli hedge stanno cambiando forma riassestando la loro posizione sul mercato finanziario. I manager di fondi speculativi non possono più sostenere di essere i padroni dell'universo finanziario, anzi hanno di fronte un mondo in cui l'orientamento economico dell'investitore muta con il variare della dimensione asset management. 
 

 

La questione, sottolinea il Financial Times in un'analisi, è se la monotonia dell'industria (vista da molti come qualcosa di positivo, dopotutto) stia mettendo la magia degli investimenti a repentaglio. Che si viva una "crisi di identità" all'interno dell'habitat dei fondi speculativi lo dimostrano George Soros ma anche Carl Icahn (che hanno adottato un approccio più cauto). Importanti hedge fund come Moore Capital di New York hanno riportato indietro soldi agli investitori per paura di fallire e di finire incastrati nell'industria-trappola. Quello che resta invariato è il trend: bassi profitti e trading poco interessanti. Non si tratta di un trend a breve termine, ma secolare. La pressione che gli investitori subiscono a causa dell'incertezza e della volatilità dei mercati è un dato di fatto e rappresenta, ad oggi, il maggior problema. "Se sei un fund manager hai due strade davanti a te: sederti ed osservare quanto sia dura la vita oppure darti da fare e scoprire che questo è il miglior momento per far soldi".