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1/25/2024 | Daniele Barzaghi
L’azionario statunitense ha garantito nel 2023 performance del +20,8%, risultando la seconda migliore asset class per andamento dopo l’equity italiano.
Garante della fortuna dei portafogli da almeno un decennio e ormai concentrato (e reso stabile) dal successo delle 7 bigtech (Apple, Microsoft, Google, Amazon, Nvidia, Tesla e Meta), l’azionario Usa sembrava destinato l’anno scorso a una doccia fredda se non fosse esploso il fenomeno tecnologico (ma anche mediatico e finanziario) dell’Intelligenza artificiale; un’innovazione ancora una volta generata e dominata da società dall’altro lato dell’Atlantico: la sola ChatGpt di OpenAi monopolizza il 60,2% del mercato (qui la classifica delle prime 10 piattaforme)
Il successo del comparto però arriva da lontano e una disamina dell’ultimo decennio non può che confermarlo, pur con qualche ombra.
Se il 2014 salutò l’azionario Usa con un robusto +29,5% dei rendimenti, nel 2015 e nel 2016 i rendimenti erano infatti già scesi rispettivamente al +12,9% e al +15,3%, per calare ulteriormente al +4,8% nel 2017 e andare addirittura in territorio negativo (-0,3%) in un anno complicato come il 2018 (che vide in positivo soltanto Treasury, oro, Reit e bond europei).
Energico fu il rimbalzo del 2019, con un netto +34,1%, appannato nel +8,7% del 2929 ma ribadito e migliorato dal +38,2% del 2021; la migliore performance dell’asset class nel decennio.
In negativo, invece, i risultati dell’anno successivo. Nel terribile 2022 dei mercati nemmeno l’azionario statunitense potette salvarsi, chiudendo l’anno con un -14,3%, il dato peggiore di equity delle economie avanzate, appena più alto del tonfo delle più volatili economie emergenti.
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