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2/22/2017 | Stefania Pescarmona
Nella professione del private banker c'è una evidente discrepanza tra il ‘dover essere’, e l’‘essere’, ossia tra la dimensione ideale e la dimensione reale. La conferma arriva dai dati di Aipb.
Quando si chiamano direttamente in causa i private banker e si chiede loro quali siano le abilità ritenute più importanti per poter svolgere la loro professione, oltre il 90% degli intervistati mette nelle prime tre posizioni l’interpretazione dei bisogni finanziari del cliente, l'interpretazione suoi bisogni non finanziari e l’assistenza al cliente in generale. Tra le varie attività che il private banker dovrebbe svolgere primeggiano quindi quelle che di fatto ineriscono ai temi del wealth management, dov'è il cliente il destinatario principale delle energie impiegate dal professionista.
Eppure, quando ci si sposta sull’autovalutazione dei banker stessi e si passa quindi ad analizzare la realtà, ne esce una quadro completamente diverso, che non corrisponde del tutto a quello che gli stessi professionisti considerano di primaria importanza. Proprio le competenze sui temi di wealth management – che nei desiderata dovrebbero essere nei primi posti - ricoprono invece un peso decisamente più basso, rappresentando solo il 29%.
“Appare quindi fondamentale colmare tale discrepanza, soprattutto in virtù di ciò che viene considerato prerogativo per il private banking e il wealth management – spiega Aipb - ossia la centralità del cliente e delle sue esigenze, anche quelle che vanno oltre il mero ambito della gestione del portafoglio”. Se è vero che, in generale, i clienti private sono molto soddisfatti del proprio istituto di riferimento per gli investimenti e del proprio referente, vero è anche che gli addetti ai lavori non dovrebbero mai abbassare la guardia.
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