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Decarbonizzazione: la complessità dei dati non deve demotivare

9/2/2021 | Redazione Advisor

Per il data scientist di Robeco il problema non consiste nella mancanza di dati sufficienti, ma la provenienza da fonti multiple e sovrapposte, spesso in contraddizione tra loro


Quando si cerca di stabilire da dove provengono le emissioni, la raccolta dei dati può apparire come un’attività complessa. Si consideri che le emissioni sono classificate in vari ambiti che prendono il nome di Scope 1, 2 o 3. In breve, le emissioni di Scope 1 sono quelle generate in maniera diretta da un’azienda; quelle di Scope 2 sono create dalla generazione dell’elettricità o del calore necessario per realizzare un prodotto; mentre quelle di Scope 3 sono causate dall’intera catena del valore, compreso l’utente finale del prodotto nel suo ciclo di vita. Quando si considerano nel loro insieme non rappresentano la semplice somma di metri cubi di gas serra.

 

“Un problema fondamentale dei dati sull’impronta di carbonio è rappresentato dal fatto che guardano al passato, con un lag temporale medio di circa due anni. Quindi, se ci mettiamo ad analizzare il carbonio, stiamo in effetti esaminando la realtà del 2019”, spiega Thijs Markwat, data scientist per il clima di Robeco. “Ciò significa che i dati non forniranno informazioni sulla preparazione alla transizione energetica da parte di un’azienda. Quello di cui abbiamo veramente bisogno sono metriche più lungimiranti. Un’impronta di carbonio come quella di cui disponiamo oggi non mi dice se l’azienda decarbonizzerà in futuro”.

 

 

Il secondo problema non è che non vi sono dati sufficienti, ma che provengono da fonti multiple e sovrapposte, spesso in contraddizione tra loro. “I dati di Scope 1 e 2 sono relativamente facili da ottenere, ma non vi è quasi alcuna correlazione sulla scala utilizzata da parte dei diversi provider di dati”, afferma Markwat. “Il vero problema è che non si tratta di misure vere e proprie, ma di modelli teorici. Ciò significa che abbiamo a che fare con delle stime”. Inoltre, gli ambiti stessi non ci raccontano l’intera storia. Ad esempio, mentre un costruttore di automobili produrrà emissioni relativamente basse di Scope 1 e 2 nella fabbricazione di un’auto a benzina, l’utilizzatore del veicolo brucerà benzina per molti anni, causando emissioni di Scope 3 molto elevate per quanto riguarda i fumi di scarico.

 

In particolare, come evidenziano gli esperti di Robeco le emissioni di tipo Scope 2 sono indirette e derivano da energia elettrica generata altrove. Secondo il Greenhouse Gas Protocol, esistono due metodi per calcolare l’impronta di carbonio delle emissioni di tipo Scope 2: un calcolo basato sul mercato (MB): attraverso fattori di emissione risultanti da strumenti contrattuali; un calcolo basato sulla posizione (LB): attraverso l’intensità media delle emissioni della rete.

Pertanto, le emissioni Scope 2 LB riflettono ciò che si genere fisicamente attraverso la rete elettrica, mentre le emissioni Scope 2 MB riflettono ciò che si è effettivamente acquistato. Le emissioni Scope 2 MB e LB sono empiricamente correlate. Per l’analisi Robeco sottolinea di utilizzare i dati comunicati dalle aziende per il Carbon Disclosure Project. In totale, le aziende che divulgano le loro emissioni Scope 2 basate sulla posizione (LB) sono 2.708. Di queste, 1.516 (56%) riferiscono anche quelle basate sul mercato (MB). Le grandi società tendono a riportare le emissioni Scope 2 con maggior frequenza rispetto alle piccole imprese.

 

 

Ma la sfida legata ai dati e alla loro valutazione e interpretazione non dovrebbe impedire di agire. “La carenza di dati viene utilizzata come una scusa da alcuni per evitare di affrontare la questione di petto”, prosegue l’esperto di Robeco. “Dobbiamo fare attenzione a non definire l’intero problema come un problema di dati; è più una sfida analitica causata dai dati stessi. Sappiamo quali sono i settori ad alta intensità di carbonio, quindi possiamo agire in tal senso”.

 

 

Infine l’ultima questione rilevante in merito al tema dei dati riguarda le metriche da utilizzare, in quanto l’approccio attuale è in gran parte quantitativo, anche quando dovrebbe essere qualitativo. “L’impronta di carbonio è al numeratore, ma esiste anche il denominatore”, afferma Markwat. “Quindi, si valutano le aziende in termini di impronta di carbonio per fatturato o per valore aziendale? Questi fattori fanno un’enorme differenza nel momento in cui il diritto comunitario richiede una cosa e le leggi in altre regioni e Paesi richiedono qualcosa di diverso. Occorre un approccio più mirato”.

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