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Libia, effetto domino sui mercati

2/22/2011 | Federico Leardini

Effetto Libia sui mercati mondiali. Petrolio in continua ascesa e titoli italiani messi sotto scacco dalla rivolta popolare nelle piazze del paese nordafricano


SVOLTA EPOCALE - L'impressione è di star vivendo uno di quei momenti che vanno a finire dritti dritti nei libri di storia.

Il mondo arabo sta vivendo una fase di rinnovamento epocale e gli effetti si riverberano immediatamente sulle economie e i rapporti politico-diplomatiche occidentali.

Anche volendo sospendere il giudizio sulla bontà dell'esito di queste manifestazioni, non si può non rilevare come la gestione "familiare" delle economie nordafricane degli ultimi decenni avesse generato profondissime relazioni con alcuni dei paesi più sviluppati del mediterraneo europeo e di oltreoceano.

Se nel caso egiziano la transizione è stata praticamente guidata da Washington, per l'enorme importanza politico economica che il paese rappresenta, nella sua doppia veste di cuscinetto per Israele e di porta per l'Europa attraverso Suez, per quanto riguarda le piazze libiche il primo paese ad essere toccato è proprio l'Italia.

L'economia e la finanza di casa nostra sono intimamente connesse con i petroldollari del Colonnello Gheddafi, in una relazione che si è andata rafforzando di anno in anno e che ha trovato il definitivo suggello nel trattato di amicizia tra Italia e Libia approvato dodici mesi orsono dal nostro parlamento.

 

LA SPECIAL RELATIONSHIP - 3,4 miliardi di export verso Tripoli, oltre 17 miliardi dollari di scambi commerciali nel 2010, più di quanto totalizzino sommate Francia, Germania e Regno Unito; questi sono alcuni dei numeri dell'amicizia italo libica.

Un altro, altrettanto significativo, è il 7,4% che il governo di Tripoli detiene in Unicredit, direttamente attraverso la Banca centrale e indirettamente per mezzo della LIA, la Lybian Investment Authority; percentuale che rende il Colonnello Gheddafi di fatto il principale azionista di Piazza Cordusio.

Un terzo può essere il 2,1% che la stessa LIA ha di Finmeccanica, o il 7,5% che la Lafico, il fondo per gli investimenti libiici all'estero, possiede della Juventus.

Per non parlare degli investimenti italiani nel paese nordafricano: dalle infrastrutture e i servizi con Selex, Ansaldo Sts e Agusta Westland, alle costruzioni con impregilo, agli stabilimenti Iveco...

Numeri e nomi che evidenziano l'intimo legame del gotha della finanza di casa nostra con l'altra sponda del Mediterraneo.

E non abbiamo ancora affrontato il tema del petrolio...

 

PETROLIO ALLE STELLE - Un capitolo a parte lo merita il greggio.

Anche qui, parlando di società italiane, il rapporto è stretto: Eni opera in Libia dal 1959 ed è il maggior investitore nel Paese con le società Eni Oil e Eni Gas (oggi Mellitah Oil&Gas).

Il cane a sei zampe ha programmato nei prossimi 25 anni oltre 28 miliardi di euro di investimenti per garantire il regolare approvvigionamento di greggio verso l'Italia.

Ad oggi quasi un quarto del petrolio in uso nel nostro paese proviene dai pozzi libici ed Eni è il primo produttore straniero del paese con circa 244mila barili prodotti ogni giorno.

Ieri Eni ha annunciato il rimpatrio dei dipendenti italiani dagli stabilimenti oltremare, ma ha anche affermato che la produzione può continuare normalmente, almeno per il momento.

Il titolo a Piazza Affari ha pagato un dazio pesante, perdendo il 3,6%

Ben più elevato, comunque, lo scostamento percentuale che sta facendo registrare il greggio sui mercati mondiali.

il brent quota attorno ai 108 dollari al barile, sensibilmente ai massimi da oltre due anni a questa parte; corsa folle anche per il Wti, che a New York ha chiuso con un rialzo che non si vedeva dai giorni post Lehman, +9% e quotazioni attorno ai 94 dollari al barile.

Ed ora, se non per ragioni umanitarie, i vertici politici ed economici occidentali difficilmente possono esimersi dall'intervento. La minaccia di un effetto domino sui mercati mondiali è quantomai realistica.

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