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5/20/2017
I consulenti finanziari hanno letteralmente abbandonato i fondi italiani: in 14 anni la distribuzione di questi strumenti attraverso le reti degli ex-promotori finanziari si è drasticamente ridotta. Se nel 2002, il 22,7% del collocamento complessivo dei prodotti appartenenti a questa categoria avveniva tramite consulenti, oggi solo il 6,5% della raccolta totale dei fondi italiani è dovuta al mondo delle reti. A rivelarlo l’aggiornamento 2016 del Quaderno di Ricerca dell’ufficio studi di Assogestioni, intitolato “I sottoscrittori di fondi comuni italiani”, firmato da Alessandro Rota e Riccardo Morassut.
Secondo i dati della ricerca, infatti, la maggior parte dei sottoscrittori di fondi italiani ha acquistato le quote attraverso il canale bancario che nel 2002 pesava per il 77,3% e oggi pesa per il 93,5%. Un dato che, come indicato dagli stessi autori del Quaderno, riflette le caratteristiche tipiche del mercato italiano in termini di integrazione verticale banca-SGR e, aggiungiamo noi, rivela la forta differenza oggi esistente tra il modello di business tipico delle banche e quello più tipico delle reti di consulenti: le prime continuano a restare ancorate alle società di gestione del proprio gruppo, le seconde continuano a distinguersi per l'ampia gamma di accordi distributivi che portano ad una logica di distribuzione slegata dall'appartenenza di gruppo.
Come si riflette nel portafoglio medio dei clienti? Se incrociamo i dati del Quaderno di Ricerca di Assogestioni con le rilevazioni trimestrali della stessa associazione emergono alcune sostanziali differenze tra i sottoscrittori delle banche (che statisticamente potrebbero avere una prevalenza di fondi italiani in portafoglio) e quelli delle reti (che, sulla carta, offrono anche strumenti di diritto estero). I primi si trovano ad avere in portafoglio principalmente fondi flessibili e obbligazionari: rispettivamente il 41% e il 39% dei sottoscrittori concentrava nel 2016 i propri investimenti su questi prodotti. Il tutto a discapito dei prodotti azionari e bilanciati, fermi all'8% e al 7%.
Se invece consideriamo anche gli investimenti in fondi di diritto estero (presenti soprattutto nei clienti delle reti) gli equilibri cambiano leggermente. Da un lato troviamo una forte percentuale di asset investiti in prodotti obbligazionari (41%) e flessibili (23%), dall'altro riscontriamo una maggior presenza di prodotti azionari (22,3%) nei portafogli complessivi.
Certo le due fotografie (quella scattata nel Quaderno Assogestioni e quello delle Mappe trimestrali) nascono da processi di analisi diverse e, in parte, difficili da comparare, ma offrono sicuramente un interessante sguardo su quella che è oggi la realtà del mercato del risparmio gestito italiano: esistono oggi due mondi che si muovono secondo logiche di collocamento diverse e che sono ancora lontani dal convergere l'uno verso l'altro. Due modelli differenti che con molta probabilità si stanno dividendo il mercato e la clientela. Sarà utile confrontare i dati di entrambe le statistiche alla fine del 2018, quando avremo, molto probabilmente, una prima fotografia del mercato post-mifid II.
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