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Forum AIPB, lo studio sui clienti imprenditori. I 3 compiti dei banker

11/22/2024 | Daniele Barzaghi

Gli imprenditori costituiscono il 23% dei clienti del private banking italiano e sono intestatari del 30% delle masse affidate.


Gli imprenditori costituiscono il 23% dei clienti del private banking italiano e sono intestatari del 30% delle masse affidate agli specialisti di grandi patrimoni. Una clientela dunque imprescindibile cui AIPB (con l'aiuto di Doxa) dedica da quest'anno uno studio-osservatorio avviato con un campionamento sperimentale di 450 interviste, equamente ripartite tra titolari di aziende piccole (meno di 50 addetti), medie (50-249) e grandi (oltre i 250 lavoratori).

Questo panel, raccontato da Antonella Massari (in foto), segretario generale dell'Associazione Italiana Private Banking in occasione del recente XX Forum AIPB, è stato poi ripesato per la reale presenza nel tessuto produttivo italiano, dove le imprese piccole rappresentano l'87% dei soggetti, le medie l'11% e le grandi il 2%.

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I presenti grafici e i successivi sono estratti dalla presentazione AIPB

Gli imprenditori italiani risultano di età abbastanza avanzata (58 anni di media), pensano di lavorare a lungo ("fino ai 70 anni, ma se avessimo chiesto solo ai settantenni avrebbero detto molto oltre" ironizza Massari), sono principalmente uomini (74%), istruiti e con in media due figli.

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Dall'analisi è emerso che le imprese italiane sono longeve (il 71% ha più di 20 anni; anche le piccole), resilienti e focalizzate sulla buona gestione (innanzitutto finanziaria, con attenzione  costi e qualità). Il 76% è una Srl, la forma societaria più semplice (solo nelle grandi il 73% è rappresentato da Spa) e il 30% esporta. “Sono prime informazioni interessanti per capire cosa potremmo fare per loro” commenta Massari.

“La seconda scoperta è che sono imprese che guardano alla crescita e sopratutto desiderano difendere il posizionamento, attraverso pratiche efficienti" prosegue. “Vuole crescere il 35% del campione, con un'ambizione più marcata nelle grandi, che vogliono aumentare i volumi nel 44% dei casi. Gli strumenti endogeni, come capitali propri e partnership, vengono citati solo dalle grandi imprese".

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“Ottima notizia è invece che l'86% degli intervistati investe: sopratutto su elementi organizzativi e fattori interni: personale, attrezzature, ricerca e sviluppo - che arriva solo come terzo elemento -; e anche qui la propensione maggiore è espressa dalle aziende grandi, così come per l'acquisizione di concorrenti, fornitori o distributori e nuovi mercati. Le piccole appaiono meno aggressive”.

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Due imprenditori su tre prenderebbero in considerazione l'apertura dell'assetto societario” aggiunge il segretario generale AIPB. “Quando andiamo a sondare le modalità però si parla sempre di ingresso di nuovi soci. In media guardano poco a quotazione o private equity, indicati soltanto - e anche qui in pochi casi - dalle imprese grandi”. 

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“Per capire se le imprese italiane sono propense alla crescita i tre aspetti da monitorare sono la governance, la gestione del passagio generazionale e la gestione dei rischi. Secondo noi sono queste le tre aree chiave” puntualizza Massari. 

“La governance è ancora piuttosto semplice: si parla quasi sempre di leadership familiare. Significativamente maggioritaria anche nel caso delle aziende italiane grandi. Con un singolo, quasi sempre un uomo, che prende le decisioni in autonomia; con poco affiancamento da parte del management, relegato a funzioni esecutive".

AIPB-Forum-2024-presentazione-osservatorio-4.jpg“Tale modalità soddisfa gli intervistati, visto che il 90% risponde di non avere intenzione di cambiare o di aprire il capitale” indica Massari. “E guardando meglio si capisce quali sono i problemi riscontrati dagli imprenditori: difficoltà nel trovare i soci giusti, tempi tropo lunghi e costi elevati”.

“Un fattore che ci ha messo un po' in allarme è semmai che il 60% degli imprenditori non è disposto ad aspettare più di due anni per vedere benefici di un'operazione straordinaria; un tempo piuttosto limitato. Così come l'orizzonte temporale della pianificazione strategica: in media è di un anno. Questo forse giustifica anche il fatto che le fonti di finanziamento sembrano anche molto più di breve e tradizionali, cioè l'autofinanziamento, il finanziamento bancario e il reinvestimento degli utili”.

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“Quando andiamo a vedere le risposte su capitale di rischio, emissioni e obbligazioni, troviamo che, in media, praticamente non esistono: anche per le imprese di grandi dimensioni l'11% è in capitale di rischio e il 4% in obbligazioni” approfondisce gli aspetti più finanziari. “Quando abbiamo chiesto se riconoscessero gli strumenti, hanno palesato di non conoscere i club deal (al 70%), avere poca dimestichezza col private equity (al 55%) e un po' più di familiarità coi mini-bond. Quindi c'è anche bisogno di conoscere meglio alcuni strumenti che potrebbero essere utili per la pianificazione di medio-lungo termine”.

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“Quando si chiede all'imprenditore come pensa il futuro dell'azienda la risposta è il passaggio ai membri della famiglia; al 55% anche nella risposta delle grandi. Il 61% degli imprenditori però non ha pensato a come organizzare questa successione. E anche qui conoscono poco il patto di famiglia; va un po' meglio con il trust” spiega la ricerca. “Tra i rischi aziendali il passaggio generazionale compare molto in fondo alla classifica, indicato tra le criticità soltanto dal 10% degli intervistati”.

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E conclude: “Il supporto dell'industria del private banking dovrebbe seguire tre filoni, aumentando tra i clienti imprenditori la consapevolezza dei rischi e delle opportunità: possiamo offrire un aiuto sul lato della governance, sul fronte della crescita per vie esterne e riguardo alla continuità delle generazioni”.

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