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6/8/2020 | Redazione Advisor
Dieci anni fa State Street, banca sistemica e tra le maggiori banche depositarie mondiali, decise di rafforzare la sua presenza in Italia, un mercato ritenuto, a ragione, strategico per il settore degli investimenti. Ancora oggi e nonostante la crisi innescata dalla pandemia da Covid-19, molte realtà continuano a guardare con interesse al nostro paese per il suo rilevante bacino di risparmio privato e capacità di investimento. Negli anni questa scelta si è quindi rivelata lungimirante per la banca depositaria, presente in Italia già dal 2004 a seguito dell’acquisizione di alcune attività di servizi transazionali di Deutsche Bank. Tuttavia, come sottolinea Denis Dollaku, country head Italy dal luglio 2019 con una carriera ventennale in State Street, “in un settore come quello dei servizi di custodia e amministrazione”, dove gli asset del gruppo a fine marzo hanno superato i 31 mila miliardi di dollari, “il tema delle dimensioni era fondamentale nel 2010 e lo è ancora oggi, anche se il quadro di riferimento è profondamente mutato, in primis per effetto della potenza dirompente della tecnologia”.
Così, nel 2010, la Banca decise di acquisire le attività di banca depositaria e custodia che Intesa Sanpaolo prestava ad alcune delle più grandi istituzioni finanziarie e gestori italiani, perché per diventare un attore di primo piano nel mercato italiano era necessario aumentare la massa critica e la quota di mercato in tempi rapidi, puntando su un patrimonio di competenze consolidate e ampiamente riconosciute. A seguito dell’operazione, che portò in State Street oltre 500 persone con un elevato grado di specializzazione nei servizi transazionali, la banca conquistò un punto di accesso da leader nel mondo del risparmio gestito italiano, sia per quanto riguarda le attività domestiche che quelle derivanti da player Italiani con operatività in Lussemburgo e Irlanda. L’alto grado di innovazione ottenuto con l’adozione di nuovi prodotti e l’allineamento delle attività produttive agli standard globali di Stati Street, pur mantenendo l’attenzione sulle esigenze puramente locali, ha generato un significativo valore per le attività dei nostri clienti e per la stessa State Street. “A posteriori la scelta di crescere tramite questa acquisizione fu coraggiosa, considerato che eravamo negli anni dell’immediato post-Lehman Brothers, ma corretta” prosegue Dollaku. “Un player di dimensioni non adeguate non avrebbe potuto sopravvivere nel nuovo quadro competitivo che oggi dobbiamo fronteggiare”.
Nell’arco di dieci anni il mondo degli investimenti è profondamente cambiato per il concorrere di diversi fattori: la crisi del debito sovrano ha innescato uno sforzo senza precedenti per le politiche monetarie delle banche centrali, chiamate a svolgere un ruolo sempre più attivo a supporto dell’economia. Nel nuovo contesto di mercato, dove i tassi negativi sono diventati “the new normal”, la corsa al rendimento e il raggiungimento di massa critica da parte di gestori e investitori ha a sua volta alimentato la concorrenza e la pressione sui margini lungo tutto il processo di investimento. “Di qui la necessità per le più grandi banche depositarie di compiere un passo fondamentale, abbracciando la tecnologia per stare al passo con un mondo dominato dai dati e dagli attori in grado di padroneggiarli, come le dot.com”.
La mossa di State Street non si è fatta attendere: nell’estate del 2018 la banca ha acquisito Charles River Development, una delle principali piattaforme globali di front office, dando il via a un nuovo modo di essere e fare banca depositaria a livello globale: “da custode di asset finanziari a custode di dati, in grado di intervenire a fianco degli operatori del settore finanziario – grandi istituzioni, asset manager, asset owner, assicurazioni, wealth manager - in qualsiasi fase del processo di investimento, dal front office al back office, il front-to-back, appunto”. Ed è proprio questo nuovo approccio integrato alla gestione delle informazioni chiave che permette ai clienti di accelerare l’esternalizzazione, completa o parziale, di attività non-core e di focalizzarsi completamente sulla ricerca del rendimento, l’Alpha dei mercati finanziari, che è anche il nome della piattaforma proprietaria di State Street. Conclude Dollaku: “La metamorfosi, da provider di servizi finanziari a provider di dati, è realtà. Ma il futuro è ancora tutto da scrivere”.
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