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Norme Ue sui derivati: tutti i timori dell'Abi

12/10/2013 | Alessandro Chiatto

La nuova normativa, che entrerà in vigore nel 2014, porterà agli operatori benefici e controindicazioni. L'Abi teme che gli obiettivi del regolamento Ue possano produrre effetti negativi, specialmente per le banche


Il regolamento Emir sugli strumenti finanziari Otc (over the counter, scambiati fuori dai mercati regolamentati), lascia qualche dubbio all'Abi. La nuova normativa, che entrerà in vigore nel 2014, porterà agli operatori benefici e controindicazioni. 

 

L'Abi teme che i giusti obiettivi del regolamento Ue, aumentare la trasparenza e la sicurezza delle operazioni con in derivati, possano produrre effetti come la riduzione della liquidità per le banche, l'aumento dei costi e la minore flessibilità nell'uso dei derivati a copertura dei rischi.  "Ci chiediamo se in alcuni ambiti i benefici effettivi siano davvero superiori ai costi", spiega David Sabatini, responsabile dell'ufficio finanza dell'Abi. 

 

La normativa Ue si basa su due pilastri: da febbraio gli operatori dovranno segnalare tutti i derivati a specifici soggetti, le cosiddette trade repositories; da settembre, la maggior parte dei derivati Otc dovrà passare attraverso una controparte centrale, che acquista tutti i contratti dai venditori e vende tutti i contratti agli acquirenti. In questo modo, le autorità europee hanno voluto ridurre i rischi sistemici legati al fallimento di una controparte. 

 

Sul clearing obbligatorio, le autorità dell'Abi hanno sollevato alcune perplessità. Le controparti centrali, per garantirsi contro il fallimento di un operatore, dovranno chiedere margini di garanzia più alti e dovranno aggiornarli giorno per giorno. Le banche, quindi, dovranno dare più collaterali e avranno un impatto negativo sulla liquidità. 

 

Inoltre, per passare attraverso le clearing house i contratti dovranno essere più stardardizzati e ci sarà meno flessibilità nell'uso dei derivati, anche quelli utilizzati per la protezione del rischio. Un altro aspetto riguarda le banche di piccole dimensioni che, per adeguarsi alle norme Ue e beneficiare dei connessi vantaggi sui requisiti patrimoniali, dovranno sostenere i maggiori costi per l'adesione alle casse centrali. 

 

 

 

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