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120, 328, 1,7. Dietro questi tre numeri si nasconde una delle grandi sfide dell’innovazione dei prossimi anni. La prima cifra si riferisce alla quantità di dati generati a livello globale ogni anno: 120 zettabyte (1 zettabyte equivale a 1 trilione di gigabyte, che equivale a 250 miliardi di DVD, ndr). La seconda indica, invece, i dati generati a livello globale ogni giorno: 329 trilioni di megabyte. Mentre ogni essere umano in ogni secondo genera 1,7 megabyte.

E il ritmo di crescita è ancora più sostenuto, continuiamo infatti ad assistere a un aumento della domanda di utilizzo dei social media, dello streaming, del gaming, dei dispositivi connessi, della guida autonoma e, più recentemente, dell’intelligenza artificiale generativa (IA). Tutti questi elementi stanno alimentando una rapida migrazione verso il cloud che, secondo le previsioni, vedrà la crescita dei ricavi quadruplicarsi fino a raggiungere 882 miliardi di dollari entro il 2027. Non solo. Secondo le previsioni, entro la fine del decennio ci saranno quasi 30 miliardi di dispositivi connessi all’Internet delle Cose (IdC o IoT). Dispositivi che richiedono una comunicazione più veloce tra di loro, il che sta spingendo la crescita del 5G, un sistema di rete 100 volte più veloce del 4G e che dovrebbe raggiungere i 4,6 miliardi di abbonati, ovvero più della metà della popolazione mondiale, entro il 2028.

In quanto catalizzatore di crescita, l’IA sta portando tutto verso un nuovo livello: si prevede che l’IA diventerà un’industria da 1.800 miliardi di dollari entro il 2030.

Ciò che è ancora più stupefacente è che si prevede che l’IA possa determinare un aumento esponenziale della produttività economica globale, sfiorando i 16.000 miliardi di dollari nello stesso arco di tempo. Gran parte della crescita massiccia prevista nell’IA e in questi altri settori dipende dall’aumento dell’archiviazione dei dati e non può essere raggiunta senza un aumento del numero di data center. Ed è qui che emerge un aspetto cruciale, e ancora sottovalutato, della crescita dell’IA perché l’aumento del numero di data center potrebbe essere anche uno degli aspetti più trascurati della transizione energetica. Ma procediamo con ordine.

Cosa sono i data center? “Sono la spina dorsale fisica di Internet e facilitano la nostra vita digitale” spiegano gli esperti di PGIM. “Si tratta di grandi edifici industriali costruiti per ospitare un vasto numero di server informatici che immagazzinano dati e collegano il traffico internet. Gli edifici sono collegati all’alta tensione, poiché consumano grandi quantità di energia e contengono apparecchiature meccaniche ed elettriche in sovrabbondanza per alimentare i server e scaricare il calore dall’edificio, anche in caso di interruzioni di corrente. E sono collegati agli utenti finali tramite reti di telecomunicazione”.

I locatari dei data center si dividono in tre segmenti principali: retail, aziendale e hyperscale. Il segmento retail si rivolge ai clienti che necessitano di impegni energetici minori, in genere inferiori a 1 megawatt (MW), che condividono lo spazio con altri clienti in una sala dati in co-locazione. Le aziende, dalle piccole e medie imprese locali alle grandi multinazionali, affittano e gestiscono i loro server di dati nei data center. Le imprese che affittano su larga scala stipulano in genere contratti per un massimo di circa 1-5MW, e l’operatore fornisce uno spazio, un’alimentazione e un ambiente di raffreddamento dedicati, in genere non condivisi con altri locatari.

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