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Biden si ritira e appoggia Harris. Come riposizionare il portafoglio

7/22/2024 | Redazione ADVISOR

Mark Haefele (UBS Global Wealth Management): “Raccomandiamo diverse strategie per gestire i rischi legati alle elezioni, tra cui un portafoglio ben diversificato”


Ormai era nell’aria. Joe Biden ha ritirato la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti e appoggerà la vicepresidente Kamala Harris (in foto). Mark Haefele, chief investment Officer, UBS Global Wealth Management, si concentra su quello che potrebbe accadere da qui alle elezioni sia dal punto di vista politico, sia dal pinto di vista degli investimenti. 

L’analista si “aspetta che Kamala Harris sottolinei la continuità del programma di Biden”. A suo avviso sarà più capace di “attirare il voto delle donne, gli elettori più giovani e di quelli di colore". 

Come dovrebbero reagire gli investitori? “L'esito delle elezioni - sottolinea Haefele - potrebbe essere determinante per gli investitori, in particolare se uno dei due partiti conquisterà il controllo della Casa Bianca e del Congresso. Una vittoria di Trump, soprattutto se sostenuta da una maggioranza repubblicana al Congresso, potrebbe aumentare le aspettative del mercato in merito a tagli fiscali e a un alleggerimento delle regolamentazioni delle attività commerciali, aumentando al contempo le preoccupazioni per l'aumento dei dazi. Il principale beneficiario dei cambiamenti normativi potrebbe essere il settore dei servizi finanziari, mentre l'aumento dei dazi sulle importazioni potrebbe danneggiare le aziende statunitensi con catene di fornitura globali. Nel frattempo, un'amministrazione democratica continuerebbe probabilmente a sostenere iniziative a favore dell'energia verde, dell'efficienza e dei produttori di veicoli elettrici”.

“Nel breve termine - prosegue il gestore - dobbiamo aspettarci una certa volatilità del mercato mentre gli investitori metabolizzano le la notizia. Nelle ultime settimane abbiamo assistito a una certa rotazione dai settori “rossi” a quelli “blu” dato che lo slancio recente ha favorito il partito repubblicano. Nei prossimi giorni, i mercati potrebbero invertire almeno in parte la tendenza”.

“Detto questo – continua l’economista - gli investitori dovrebbero ricordare che gli esiti politici statunitensi sono ben lungi dall'essere il principale motore dei rendimenti dei mercati finanziari, o anche delle performance settoriali. I dati economici e le aspettative di taglio dei tassi della Fed restano almeno altrettanto importanti. Inoltre, molto può ancora cambiare prima del voto di novembre e sono possibili diversi risultati.  Consigliamo pertanto agli investitori di non modificare drasticamente la strategia di portafoglio  in base alle loro aspettative o preferenze politiche. Raccomandiamo invece diverse strategie per gestire i rischi legati alle elezioni, tra cui un portafoglio ben diversificato e la possibilità di prendere in considerazione investimenti strutturati con caratteristiche di conservazione del capitale o di generazione di rendimento. Il nostro scenario di base, prevede che l'S&P 500 finisca l'anno intorno a 5.900, moderatamente più alto dell'attuale 5.505, sarebbe valido nella maggior parte degli scenari politici, a meno che i Democratici non conquistino il potere e portino a un aumento delle tasse sulle imprese, o in uno scenario in cui l'ex presidente Trump imponga tariffe commerciali che siano così elevate come proposto nei suoi discorsi in campagna elettorale”. 

“Consideriamo entrambi gli esiti improbabili al momento. Inoltre, riteniamo che le prospettive positive per le aziende tecnologiche statunitensi società tecnologiche statunitensi sia in grado di più che compensare l'incertezza politica”, conclude Mark Haefele.

George Brown, Senior US Economist di Schroders, spiega che “in termini di reazione del mercato, nelle ultime settimane abbiamo assistito a un irripidimento delle curve dei rendimenti in seguito all'aumento delle aspettative di una vittoria di Trump. Questo perché una vittoria schiacciante dei repubblicani permetterebbe a Trump di avere mano libera sugli stimoli fiscali. Al contrario, un Presidente democratico si troverebbe ad affrontare un governo diviso. È quindi possibile che il recente irripidimento delle curve dei rendimenti si inverta se Harris, o un altro candidato democratico, ridurrà il divario nei sondaggi. Tuttavia, Donald Trump sembra ancora il vincitore più probabile. Il recente attentato ha dato alla sua campagna un notevole slancio che potrebbe portarlo fino alle elezioni di novembre. Dato il vantaggio di Trump nei sondaggi, abbiamo delineato le nostre aspettative economiche in caso di una sua”.

Secondo l’esperto, “le misure protezionistiche potrebbero comportare rischi inflazionistici. L'asse centrale dell'agenda economica di Trump è il protezionismo. Quando era presidente, ha paventato problemi di sicurezza nazionale per innalzare le tariffe doganali in base ai poteri della cosiddetta Sezione 232. Pechino è stato il bersaglio più colpito, con un dazio medio sulle importazioni dalla Cina che è salito dal 3% a quasi il 20% durante il suo mandato. In caso di rielezione, Trump ha proposto di aumentarle al 60% e di eliminare gradualmente tutte le importazioni di beni essenziali dalla Cina. Inoltre, le importazioni dal resto del mondo sarebbero soggette a una tariffa di base del 10%. Se attuate, queste proposte rappresenterebbero un significativo shock inflazionistico. Tuttavia, sospettiamo che Trump non abbia intenzione di dare pieno seguito a queste proposte, ma di sfruttarle in modo mirato per ottenere concessioni commerciali. Tre fattori dovrebbero contribuire a smorzare l'impatto inflazionistico delle tariffe. In primo luogo, è probabile che il dollaro si apprezzi, soprattutto nei confronti del renminbi, dato che Pechino probabilmente perseguirà una svalutazione. In secondo luogo, l'ampliamento dei margini di profitto delle imprese dopo la pandemia dovrebbe servire ad assorbire i maggiori costi di importazione. In terzo e ultimo luogo, le merci potrebbero essere indirizzate verso paesi che hanno condizioni commerciali più favorevoli con gli Stati Uniti, come sembra aver fatto la Cina dall'inizio della guerra commerciale".

“L'immigrazione - prosegue l’economista - potrebbe rivelarsi una sfida maggiore. Questa volta, una stretta sull'immigrazione avrebbe probabilmente effetti più dirompenti rispetto al precedente mandato di Trump alla Casa Bianca. La crescita dei posti di lavoro negli ultimi anni è stata quasi interamente guidata da lavoratori nati all'estero. La diminuzione dell'immigrazione potrebbe quindi esacerbare la scarsità di lavoratori, in particolare in settori fortemente dipendenti dalla manodopera straniera come l'agricoltura e l'edilizia. Questo potrebbe portare a una ripresa della crescita dei salari che alimenterebbe ulteriormente le pressioni inflazionistiche. Di per sé, l'aumento dell'inflazione e la minore creazione di posti di lavoro costituirebbero un vento contrario per l'economia. Tuttavia, ci aspettiamo che ciò sia più che compensato da varie politiche di promozione della crescita. Tra queste, la più importante sarà la promessa di Trump di estendere le disposizioni del Tax Cuts and Jobs Act (TCJA) del 2017 che scadranno l'anno prossimo. La crescita dovrebbe essere sostenuta anche dal programma di deregolamentazione di Trump. Uno dei maggiori beneficiari sarebbe il settore energetico. Trump si è impegnato a porre fine ai ritardi nei permessi federali di trivellazione e nei contratti di locazione, a rimuovere i limiti alle esportazioni di gas naturale e a ritirare le norme sulle emissioni delle automobili che entreranno in vigore nel 2032”.

“La vittoria di Trump - conclude Brown - potrebbe portare a una crescita più forte e un'inflazione più elevata. Se Trump dovesse vincere le elezioni, ci aspettiamo che la crescita degli Stati Uniti sarà più forte e l'inflazione più solida. Tuttavia, la campagna elettorale di Trump è stata poco dettagliata ed è quindi difficile fare ipotesi sulla politica economica. Siamo certi che la maggior parte dell'impatto macroeconomico non si farà sentire prima del 2026. Non solo per il tempo necessario a legiferare e ad attuare il suo programma, ma anche per i ritardi associati al meccanismo di trasmissione della politica che, alla fine, si ripercuoterà sull'attività e sui prezzi. In termini di crescita, la nostra analisi suggerisce che l'economia statunitense si espanderebbe del 2,2% nel 2025 sotto una seconda presidenza Trump. Accelererebbe poi al 2,7% nel 2026 con l'avvio delle politiche di promozione della crescita dell'amministrazione, prima di rallentare al 2,3% nel 2027 con l'aumento dell'inflazione che peserà sulla spesa dei consumatori”.

Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm, rimarca che “il clima prevalente è di grande incertezza e, come anticipato, gli investitori hanno reagito riducendo alcune posizioni del “Trump trade”. Con la vicepresidente Harris nettamente favorita tra gli esponenti democratici di spicco, l'attenzione si sposta ora sulla rapidità e l'efficacia con cui la sua campagna potrà avviarsi. I donatori democratici si stanno facendo avanti, con oltre 50 milioni di dollari raccolti da domenica pomeriggio, quando Joe Biden ha annunciato la sua decisione. I mercati asiatici hanno aperto la settimana in ribasso, mentre gli investitori analizzavano le notizie in vista del voto degli Stati Uniti, tra 105 giorni. Il Nikkei 225 ha chiuso in calo dell'1,26%, il KOSPI della Corea del Sud è sceso dell'1,01% (alle 07:33 BST) e l'indice azionario ponderato per la capitalizzazione di Taiwan ha chiuso in calo del 2,68%”.

 

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