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3/7/2023 | Redazione Advisor
Sulla scia delle nuove stime di crescita per Stati Uniti e Unione europea, riviste al rialzo, Alessandro Tentori, cio AXA IM Italia, riflette sul fatto che in questo momento “good news” per l'economia può voler dire “bad news” per i mercati.
“Per il 2023 – spiega Tentori – le previsioni degli analisti di Wall Street uscite a metà febbraio sono in leggera ripresa (ma le cifre vengono continuamente riviste) e danno una crescita economica dello 0,6% con un’inflazione al 3,8% negli Stati Uniti. Anche nell’area euro non si prevede più una recessione. Al contrario, il consenso prevede ora uno 0,2% di crescita e un’inflazione al 5,7%. Le revisioni al rialzo delle stime di crescita diffuse dalla Commissione Europea a febbraio vedono addirittura una crescita superiore alle attese non solo per l’eurozona, ma anche per l’Italia. Lo scenario sulla crescita si è fatto più rassicurante per l’Eurozona”. Tuttavia, Tentori avverte che i rischi non mancano. E quelle che sono buone notizie per l’economia potrebbero non esserlo per i mercati.
“Anche i sondaggi tra gli investitori, come per esempio quello recente di Bank of America, mostrano che il tema della recessione sembra passato di moda, con solo il 40% degli intervistati che prevede ora una recessione negli Stati Uniti per l’anno in corso. A fine 2022 questa percentuale era vicina all’80%”. Tuttavia, prosegue Tentori, nonostante le stime più ottimistiche di analisti e investitori, “la Fed – che utilizza un modello basato sull’inversione della curva dei Treasury – per i prossimi dodici mesi ha una stima di recessione vicina al 60%. Il modello della banca centrale, tuttavia, è l’unico indicatore che farebbe presagire il rischio di recessione. Anche se storicamente ha avuto ragione, bisogna tenere in conto alcuni fattori, per esempio che il bilancio della Fed dovuto al programma di Quantitative Easing distorce un po’ i vari premi presenti sulla curva e quindi sta dando un’informazione che nei prossimi mesi potrebbe rivelarsi fallace”.
Poi c’è l’inflazione, che sta rallentando, ma meno del previsto. “L’ultimo dato relativo al CPI negli Stati Uniti nel mese di gennaio ha evidenziato un nuovo rallentamento, +0,5% a gennaio (più di quanto atteso dagli economisti) e + 6,4% rispetto a un anno prima. Il rallentamento è buona notizia, ma solo in parte: il tasso d’inflazione è ancora lontano dal target della banca centrale, che continuerà con i rialzi. E questa per i mercati non è una buona notizia” chiarisce Tentori.
I timori di una Fed ancora aggressiva sono alimentati anche dal fatto che il mercato del lavoro negli Stati Uniti continua ad essere resiliente. “Resta un disequilibrio significativo tra domanda e offerta e questo crea problemi di inflazione salariale, problemi logistici (colli di bottiglia) e soprattutto fa in modo che anche un rallentamento dell’economia non abbia quell’effetto sul tasso di disoccupazione che si sarebbe ipotizzato, perché prima bisogna assorbire il disavanzo tra offerta e domanda”.
Come per gli Stati Uniti, anche per l’eurozona il rischio è di avere da una parte un miglioramento della situazione dell’economia e dei consumi, rispetto a quanto si profilava lo scorso autunno, e dall’altro che si possa materializzare un ulteriore grado di rischio inflazionistico dovuto a un’accelerazione dei salari. “Nell’eurozona poi l’inflazione è per due terzi esogena, da offerta, legata alle oscillazioni del prezzo dell’energia o ai colli di bottiglia, quindi meno controllabile dalla politica monetaria, mentre oltreoceano affrontano un’inflazione da domanda. In sintesi, quindi, la Bce deve proseguire con i rialzi dei tassi e non è escluso che possa diventare necessaria una politica monetaria più aggressiva”. Ma questa sarebbe una “bad news” per i mercati.
Infine, conclude Tentori, “se per gli Stati Uniti sembrerebbe che il rischio di recessione sia alle spalle, per l’Europa la situazione sembra più complicata perché entrano in gioco altri fattori, come le incognite sull’andamento della guerra in Ucraina o un nuovo aumento delle materie prime”.
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