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10/12/2022 | Daniele Riosa
Il ventesimo congresso del PCC aprirà i battenti il 16 ottobre e, a meno di imprevedibili colpi di scena, Xi Jinping verrà rieletto per la terza volta segretario e rimarrà in carica per i prossimi 5 anni. Vediamo come i gestori si avvicinano all’importante appuntamento e quali previsioni fanno sul Paese dal punto di vista economico e finanziario.
Anche Carlo Benetti, market specialist di GAM (Italia) SGR, non vede alternative alla conferma dell’attuale leader: “Non ci sono dubbi su chi sarà il nuovo leader, Xi Jinping aveva predisposto questo appuntamento già nell’ottobre 2018, quando fece votare l’eliminazione del vincolo costituzionale dei due mandati stabilito da Deng Xiaoping, il vero architetto della Cina moderna. Nel presente, la leadership che si accinge a celebrare il 20° Congresso quinquennale ha la grande responsabilità di affrontare e risolvere un dilemma che sembra una vera e propria alternativa del diavolo”.
Il manager ricorda che “mentre altri Paesi della regione allentano la severità delle misure sanitarie per il contenimento del Covid e perseguono la progressiva normalizzazione della vita sociale ed economica, la Cina mantiene ancora alta la guardia. I controlli alle frontiere sono severissimi, il confinamento di coloro che sono stati a contatto con persone risultate positive è brutale, frequente la chiusura di intere città o di infrastrutture come stazioni e aeroporti. Abbassare la guardia sarebbe per il governo una sconfitta, a ragione dell’enorme capitale politico investito sull’azzeramento della malattia, e un rischio sanitario, per la bassa immunità di gregge di una popolazione vulnerabile, costituita prevalentemente da adulti e anziani. Ma le chiusure prolungate di milioni di persone dovute all’intransigenza del governo comportano alti costi economici ed è in questa strettoia l’alternativa del diavolo: mantenere la politica dello ‘zero Covid’ significa mettere in conto ulteriori costi economici e sociali, rimuoverla significherebbe rischiare milioni di vittime visto che poco meno dello 0,1% della popolazione cinese è stato infettato e non sono stati autorizzati i più efficaci vaccini a base mRNA”.
Inoltre “le difficoltà dell’economia che paga il dazio pesante delle chiusure e le questioni irrisolte nel settore immobiliare sono state puntualmente registrate dalla pesante svalutazione del renmimbi. È vero che l’aumento dei tassi d’interesse negli Stati Uniti e la percezione di sicurezza degli asset americani sono state scaturigine di un imponente movimento di acquisto di dollari e, specularmente, di deprezzamento delle altre principali valute (l’euro e la sterlina inglese hanno però messo del loro). Il deprezzamento di circa l’11% dello yuan contro il dollaro è stato mediamente inferiore a quello delle altre valute ma i movimenti dello yuan non sono del tutto liberi, la banca centrale cinese è intervenuta, ha riportato il coefficiente di riserva obbligatoria al 20% per le operazioni sui cambi”.
“Dal punto di vista dell’investitore - conclude Benetti - la Cina e gli altri paesi dell’area indo-pacifica hanno ancora venti contrari ma il deprezzamento delle valute locali aiuta la competitività sui mercati internazionali, parziale compenso alle ricadute negative dell’indebolimento della domanda e dei rischi recessivi negli Stati Uniti e in Europa. Il Congresso sarà un appuntamento importante: Xi sarà rieletto ma il suo potere si regge sul consenso dell’elite del partito e anche a lui, come ai suoi predecessori, sono richiesti risultati e compromessi”.
Jasmine Kang, portfolio manager della strategia China Equity di Comgest, osserva che per investire in Cina è necessario sfruttare le tendenze secolari “poiché i rapporti di potere a Pechino possono apparire meno trasparenti che in altri Paesi, tende a essere difficile prevedere la direzione della politica cinese. Noi di Comgest cerchiamo di tenere conto degli obiettivi governativi e dei rischi normativi quando selezioniamo i titoli, chiedendoci se le società in portafoglio siano o meno compatibili con gli obiettivi a lungo termine del governo cinese. Ci concentriamo quindi sulle società che beneficiano dei vari trend di crescita secolare cinese che abbiamo rilevato nella nostra ricerca e che si allineano bene con gli obiettivi del governo”.
“Alcuni di questi trend - precisa l’esperta - derivano dalla politica di ‘prosperità comune’ del presidente Jinping, che il governo sostiene sia finalizzata a ridurre il crescente divario di ricchezza. Sebbene alcuni investitori possano considerare questa politica unilateralmente negativa, pensando che i beni di consumo di massa possano trarre i maggiori benefici, riteniamo che essa possa offrire molte opportunità a livello locale. I marchi nazionali emergenti stanno beneficiando dell'aumento dei consumi della crescente classe media del Paese, in particolare tra le aziende considerate ‘guochao’, ossia il trend ‘China-chic’ guidato dai cinesi più giovani. In termini di energia pulita, la direzione politica della Cina è stata chiara e positiva, con molti incentivi governativi per ridurre le emissioni di carbonio e l'inquinamento. Grazie al sostegno del governo e all'obiettivo di diventare un polo produttivo high-tech, le aziende cinesi hanno sviluppato un know-how tecnologico in mercati in crescita come quello dei veicoli elettrici”.
In più “le aziende cinesi stanno diventando sempre più pioniere in ambito tecnologico: investono maggiormente in ricerca e sviluppo per aumentare la qualità dei loro prodotti e servizi. Questa tendenza è visibile in tutti i settori, in particolare nel mercato sanitario del Paese, in rapida ascesa. Sebbene le aziende con un know-how tecnologico avanzato siano ampiamente promosse in Cina, vi sono seri limiti di investimento derivanti dalle tensioni geopolitiche in corso, in particolare con gli Stati Uniti. Una guerra tecnologica tra Cina e Stati Uniti potrebbe compromettere fortemente le opportunità di crescita delle aziende di semiconduttori e biotecnologie del Paese”.
David Soh, head of research & portfolio manager, asian equities di RBC Global Asset Management, ritiene che “l'allocazione in A-share meriti un'attenta considerazione da parte degli investitori globali. In primo luogo, essendo un mercato inefficiente e ricco di opportunità idiosincratiche di alpha, l'elevata dispersione dei rendimenti fa sì che i risultati possano variare più ampiamente rispetto a quelli di altri mercati azionari globali. Ciò rende l’azionario cinese un mercato ideale per gli stock picker attivi che possono differenziarsi con successo selezionando i vincitori. Inoltre, l'universo delle azioni onshore è ampio e poco studiato, consentendo l'accesso a società in molti settori della ‘new economy’, come quelli tecnologici, industriali, dei consumi e della sanità. La copertura della ricerca per il mercato onshore sta migliorando, ma continua a esistere una lunga coda di titoli poco studiati, che offre agli stock picker un ampio set di opportunità”.
In secondo luogo, “la deregolamentazione dei mercati finanziari è una priorità per le autorità normative cinesi e, supponendo che ciò continui, i fornitori di indici aumenteranno le ponderazioni degli indici azionari cinesi. L'attuale tasso di inclusione dell'indice MSCI China è temporaneamente limitato al 20%, ma aumenterà con la liberalizzazione del mercato, il che porterà a un aumento dei flussi di fondi (anche in assenza di cambiamenti nei fondamentali)”.
“Riteniamo che gli investitori in cerca di diversificazione e di alpha idiosincratico dovrebbero trarre vantaggio da una maggiore esposizione alla Cina, fintanto che la deregolamentazione dei mercati finanziari continuerà e l'inclusione degli indici aumenterà. La selettività e l'esecuzione di una due diligence approfondita sono fondamentali per navigare in questo mercato dinamico e, pertanto, i gestori attivi che conoscono bene il mercato e utilizzano un processo di gestione del rischio disciplinato sono parte integrante dell'allocazione azionaria delle A-share”, conclude Soh.
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