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12/4/2020 | Redazione Advisor
“I quantitative easing della Bce e della Bank of Japan inducono gli investitori europei e giapponesi a cercare rendimenti sui bond in dollari: di conseguenza soltanto una parte della liquidità immessa dalle banche centrali finisce all’economia locale. Non è un caso che Europa e Giappone sono cresciuti meno degli Stati Uniti nelle recenti fasi positive del ciclo, dato che continuano a fornire parte della loro liquidità al sistema economico e finanziario Usa”. È l’analisi di Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy Fund.
Secondo Novelli, “mentre si avvia il cambio di amministrazione negli Stati Uniti, i mercati finanziari sono impegnati nella costruzione della più grande bolla speculativa di sempre, in un contesto economico particolarmente disastrato”. I postumi della crisi economica non saranno così facili da superare per le economie occidentali e il danno richiederà molto tempo per essere riparato, anche se la frenesia speculativa dei mercati cerca di far credere che non sarà così. Il livello raggiunto dallo stock di asset finanziari detenuti dagli investitori e circolanti nell’economia americana a fine 2019 era pari a 5,6 volte il Pil e ora dovremmo essere saliti ben oltre 6 volte il Pil. In sostanza, il Pil Usa vale oggi circa 18,5 trilioni di dollari, ma gli asset finanziari che lo rappresentano e servono a finanziarlo hanno raggiunto la cifra astronomica di oltre 100 trilioni di dollari. Questo offre una rappresentazione abbastanza realistica del livello di eccesso di leva e di finanza presente nel sistema. Il risultato è che a ogni crisi il costo viene pagato dall’economia reale, perché il settore finanziario è diventato ormai ‘too big to fail” per l’economia americana e quindi assorbe la prevalenza degli interventi di sostegno erogati. Circa il 70% di tali asset è rappresentato da debito, il cui valore outstanding è di oltre 70 trilioni di dollari, mentre il 30% circa è rappresentato da equity (azioni quotate + Etf).
Questo colossale stock di asset finanziari emessi dagli Stati Uniti rappresenta un serio problema per l’economia americana e per l’economia mondiale, infatti per essere sostenuti assorbono risorse e risparmio da ogni parte del mondo e, nelle fasi di crisi, costituiscono un serio problema di stabilità per il sistema finanziario mondiale. Il ruolo che la Fed e le altre banche centrali esercitano sul sistema consiste nel comprimere i rendimenti a zero sulle attività finanziarie più sicure e a basso rischio, per indurre gli investitori a investire su quelle ad alto rischio (equity e credito speculativo) che rischiano di implodere durante le crisi. Al momento, anche circa 10/12 trilioni di dollari di risparmio estero di Cina, Giappone ed Europa contribuiscono al sostegno degli asset finanziari americani, ma tali flussi sottraggono risparmio interno alle loro economie riducendone dunque il potenziale di crescita. Le politiche monetarie di Bce e Bank of Japan sono molto più utili agli Stati Uniti che a Europa e Giappone, che perseguono strategie di tassi negativi e inducono gli investitori a cercare rendimenti altrove.
Questa è un’ulteriore dimostrazione che le politiche monetarie con tassi negativi non servono a un granché alla crescita dell’economia e non stimolano neppure la circolazione del credito all’interno delle economie che li applicano. Negli ultimi 20 anni, tutte le politiche fiscali e monetarie sono state impostate con il fine di sostenere e proteggere un mercato finanziario di dimensioni destabilizzanti, ma il risultato è che l’economia reale (“main street”) non sembra averne beneficiato, dato che ad ogni crisi il gap tra finanza ed economia si allarga sempre di più. Ci sarà un motivo se, mentre il mondo fronteggia la recessione peggiore di sempre e assiste a un’impennata di insolvenze, gli asset finanziari prosperano. Il motivo di una crescita debole nelle economie occidentali è dovuto al fatto che è l’economia reale che ora sostiene il settore finanziario e non viceversa.
“Se si vuole modificare il modo in cui la finanza deve finanziare la crescita e fare in modo che la crescita distribuisca il reddito in modo più diffuso, è necessario accettare un cambio di paradigma che non piacerà ai mercati finanziari, ma che sarebbe necessario accettare per evitare in prospettiva una rivolta sociale”.
Secondo Novelli, occorrerebbe accettare una rivalutazione dei salari reali, che potrebbe penalizzare i profitti delle società quotate; introdurre limiti all’utilizzo dei profitti per fare buy back delle proprie azioni in borsa; aumentare le imposte sulle società quotate, per ridurre quelle sui redditi più bassi della popolazione; accettare di penalizzare i proventi derivanti da attività speculative, per favorire quelli derivanti da investimenti nell’economia reale (Tobin Tax). Se veramente volessimo politiche reflazionistiche dovremmo accettare di sacrificare il rendimento degli asset finanziari in cambio di un sistema più equilibrato e sostenibile. La nuova amministrazione Biden dovrebbe fare delle scelte politiche mirate a rimettere l’economia reale e il reddito da lavoro al centro del modello economico Usa. Purtroppo il risultato elettorale evidenzia un quadro politico estremamente diviso e contrapposto e l’amministrazione democratica non ha una maggioranza abbastanza forte per introdurre delle riforme così importanti.
“In questo contesto, nelle nostre scelte di investimento rimaniamo molto negativi sulle prospettive del dollaro e decisamente rialzisti sull’oro", conclude Novelli. “Per quanto riguarda i mercati azionari, siamo invece orientati a mantenere una strategia long/short: rialzisti sui paesi emergenti dell’Asia, il Giappone e la Cina e al ribasso su Europa e Stati Uniti, economie che sono esposte a pericolose ricadute del ciclo e alla stagnazione. La Cina ha completato l’accordo di libero scambio Rcep (Regional Comprehensive Economic Partnership) con tutti i paesi asiatici, creando l’area economica di libero scambio più importante a livello mondiale. Anche questo tassello rappresenta un elemento di debolezza prospettica per il dollaro e di potenziale rivalutazione del renminbi”.
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