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1/20/2020 | Daniele Riosa
Benjamin Melman, global cio di Edmond de Rothschild Asset Management, commenta l’andamento dei mercati globali e le relative opportunità di investimento, con una differenziazione su base settoriale e geografica e un focus sull’indirizzo delle principali Banche centrali. Tornando al 2019 l'analista spiega che "se dovessimo riassumere gli ultimi due anni in quattro parole, la sintesi sarebbe ‘Non combattere la Fed!’ Nel 2018, quasi tutti gli asset di rischio hanno registrato performance negative a causa dell'inasprimento dei tassi di riferimento statunitensi e della riduzione della liquidità di Fed e BCE”.
Tuttavia nel 2019, “un’inversione di rotta di entrambe le Banche centrali ha fatto sì che gli asset di rischio, siano essi il Bund, le small cap asiatiche o il Bitcoin, abbiano registrato rendimenti straordinari. I fondamentali non hanno giustificato il crollo del 2018 più di quanto abbiano fatto con l'impennata del 2019. L’elemento che più colpisce è la cautela delle Banche centrali per quanto riguarda la liquidità. Le sorprendenti fluttuazioni del mercato Repo statunitense nel 2019 lasciano pensare che la Fed abbia sbagliato le sue linee generali sulle questioni relative al proprio bilancio e all'impatto della liquidità sulle banche e sui mercati finanziari. Il bilancio della Fed aveva raggiunto i 4.5 trilioni di dollari quando è cominciata la fase di restringimento monetario e ci sono stati segnali che suggerivano l’intenzione di ridurlo a 2.5 trilioni di dollari. Ma non appena è sceso sotto i 4.000 miliardi di dollari, la crisi dei mercati finanziari nel quarto trimestre del 2018 ha costretto la Fed a smettere di ridurre il proprio bilancio. E poi, dopo la crisi del mercato Repo, è ritornata al percorso di espansione”.
"Data tale esperienza e il ruolo molto forte svolto dalle Banche centrali nel corso degli ultimi trimestri - continua l’economista - siamo convinti che adotteranno un approccio più neutrale dinanzi a queste nuove fonti di incertezza e, in caso di dubbio, eccederanno in cautela. Di conseguenza, le variazioni sul fronte tassi dovrebbero essere ridotte nel 2020, in netto contrasto con un 2019 molto proattivo, e la liquidità della Fed e della BCE ricomincerà senza dubbio a crescere. Le Banche centrali saranno orientate a sostenere i mercati, ma in modo più marginale”.
“I mercati – prevede - godranno di una protezione minore rispetto al 2019 e dovranno quindi badare a se stessi. Le valutazioni saranno piuttosto stirate e, in teoria, il contesto mediocre. Ci sarà anche un rischio politico significativo a causa della guerra commerciale in corso, delle presidenziali americane, delle tensioni tra Stati Uniti e Iran, dell'uscita ufficiale del Regno Unito dall'Unione Europea il 31 gennaio e della fragile coalizione di governo italiana di fronte all'opposizione dell'imprevedibile, ma popolare, Salvini. Negli Stati Uniti, c'è scarsa visibilità al momento su chi potrebbe essere il candidato democratico, fonte questa di incertezza in quanto i candidati in lizza hanno programmi molto diversi, che vanno da una tradizione centrista ad un approccio decisamente radicale. Le pressioni sui margini societari, in particolare negli Stati Uniti e in Europa, dovrebbero limitare la crescita degli utili e, di conseguenza, zavorrare la performance del mercato azionario. I titoli di Stato dovrebbero rimanere per lo più stabili e, di conseguenza, la performance richiederà selettività”.
Per quanto riguarda il reddito fisso, “preferiamo i titoli di Stato, le obbligazioni corporate dei Paesi emergenti e il debito finanziario subordinato. In primo luogo, offrono rendimenti migliori a parità di rischio e le Banche centrali hanno creato un contesto in cui la ricerca di rendimento è fondamentale. In secondo luogo, la ripresa del programma di allentamento quantitativo da parte della BCE sta spingendo automaticamente gli investitori verso altri mercati. Durante il primo round di QE, gli investitori europei hanno mostrato una forte preferenza per il debito dei Paesi emergenti. Inoltre, non pensiamo che il debito dei Paesi emergenti sia attualmente più rischioso".
“Per quanto riguarda le banche europee – conclude Melman - i coefficienti patrimoniali sono a livelli record, gli NPL continuano a calare e il rischio politico è diminuito (salvo un qualsiasi prematuro ritorno al potere di Matteo Salvini). Il debito emergente dovrebbe beneficiare del persistente indirizzo accomodante delle principali Banche centrali e della corsa al rendimento che esse hanno contribuito a creare. Il precedente round di QE della BCE aveva innescato un significativo acquisto di debito emergente. Con la riduzione della quota di bond nelle casse della Banca centrale, gli investitori europei non hanno avuto altra scelta che sostituirle. E i gravi rischi, un default venezuelano o la caduta del presidente argentino Macri, con conseguente flessione dei titoli di Stato, sono tutti possibili”.
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