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7/14/2011 | Marco Gementi
Qualcuno trent'anni fa avrebbe scommesso sulla Cina?
La risposta è ovviamente negativa ma i dati sulla Cina lasciano a bocca aperta: le riserve di valuta sono superiori ai 3.000 miliardi di dollari, seconda potenza mondiale, il suo PIL è raddoppiato tra il 2005 e il 2010, la sua popolazione rappresenta un quinto dell’umanità, le sue esportazioni si sono moltiplicate per 45 in trent’anni.
In Cina l'aggettivo da usare è solo quello superlativo.
Questi dati derivano da un modello vincente che ha reso il paese protagonista della più rapida riduzione di povertà della storia. Il tasso di povertà assoluta, stabilito mediante un reddito inferiore a un dollaro al giorno, in parità del potere d’acquisto, è passato dal 74% della popolazione, all’inizio della riforma nel 1981, al 15% nel 2004.
Ormai quando si parla di Cina si pensa alla modernità e ad infrastrutture in grado di fare impallidire i nostri ingegneri civili, un paese immenso nettamente più avanzato rispetto ai suoi vicini del Sud‐Est asiatico o rispetto all’India.
Questo il risultato di trent’anni di crescita folle...E se il Drago fosse a sua volta colpito dalla maledizione dei Trenta Gloriosi?
Il senso della storia, ravvivato dalla recente vittoria del popolo rispetto al feudalesimo e ai possidenti, il 1949 non è poi così lontano, illustra come la paura di fallire sia l’ostinazione del voler progredire e condurre l’intero paese verso un futuro migliore, accessibile a tutti.
Secondo Didier Le Menstrel, Presidente di Financière de l’Echiquier, il paese più popoloso della Asia per non essere il classico fuoco di paglia dovrà fare proprie parole come "consumo interno", "innovazione", "educazione", "salute", "pensione", "suddivisione" e forse anche "libertà" e "democrazia".
Vincere è facile, la cosa più difficile è riconfermarsi.
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