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12/12/2017 | Giancarlo Sandrin *
La parola Fintech è ormai divenuta quello che gli inglesi chiamano “Buzz Word”, una di quelle parole che nascono a seguito di grandi cambiamenti sociali, politici e tecnologici, un po’ com’è accaduto con i termini App, Tweet, Millenials e tanti altri che hanno segnato il cambiamento di un’epoca. Spesso si pensa che la tecnologia sia qualcosa che limiti i costi e migliori l'accesso ai servizi. In realtà non è solo questo.
Nel 2017 il World Economic Forum ha pubblicato un’interessante ricerca sul Fintech individuando alcuni fenomeni dirompenti. Ne vorrei sottolineare alcuni. Il primo riguarda la trasformazione dei costi (e delle infrastrutture) in commodity, cioè la capacità di sfruttare, condividendo o fornendo, anche a competitor, sistemi tecnologici sviluppati in comunità o in-house, lo stesso documento riporta il caso di BlackRock con la piattaforma Aladdin.
Un secondo aspetto è la trasformazione della tradizionale catena del valore, saltando parte della catena distributiva o produttiva, il caso di Vanguard e di Betterment. L’Experience ownership, il detentore del potere sul cliente tende a divenire chi fornisce l’interfaccia e la miglior user experience al cliente stesso. La crescente importanza delle piattaforme, queste diverranno il modello dominante per la fornitura di servizi finanziari. Ad esempio la cinese Webank di Tencent (azienda tecnologica Cinese) offre diversi operatori per il credito e l’asset managment all’interno della sua piattaforma.
La monetizzazione dei dati, l’analisi dei big data relativi a singoli clienti o a gruppi di clienti diventerà fondamentale. Pensiamo alla nuova normativa europea (PSD2) che trasferisce la proprietà dei dati bancari ai singoli clienti e obbliga le istituzioni a rendere disponibili questi dati tramite API. I provider tecnologici che, con il consenso del cliente, potranno avere accesso a questi dati potranno profilare gli utenti in maniera rivoluzionaria anche grazie all’intelligenza artificiale, con la possibilità di forme di profilazione rivoluzionarie.
La “Bionic Workforce”, cioè l’abilità dei computer di replicare sempre di più i comportamenti umani. Da un lato alcune funzioni saranno sostituite dalle macchine, dall’altro il ruolo delle persone dovrà avere una interazione ancora maggiore con la tecnologia.
Osserviamo differenti settori impattati dal fintech: pagamenti, prestiti P2P, insurance, blockchain, capital raising ed investimenti per citare i maggiori.
La parte investimenti rappresenta, probabilmente, quella che attualmente, nonostante il potenziale, è la meno sviluppata in termini di business. È ragionevole pensare che esistano tre aspetti che maggiormente ne frenano lo sviluppo: alta regolamentazione, alta marginalità offerta dalle soluzioni attualmente presenti e alta variabilità dei risultati finali (performance degli investimenti). Quest’ultimo aspetto rende ancora più importante il fattore fiducia nel provider del servizio. Prendiamo per un istante un esempio opposto, i pagamenti. Tra tutti i servizi finanziari questo rappresenta quello con il maggior sviluppo tecnologico. Si tratta di un segmento con margini (percentuali) particolarmente bassi, livelli di regolamentazione piuttosto bassi, oltre che risultati piuttosto semplici in termini di servizio e certi nell’esecuzione. Si tratta infatti di trasferire una somma X dal soggetto A al soggetto B. Esempi classici in Europa sono PayPal e ApplePay.
Nei paesi dove la regolamentazione è più elastica c’è stato un vero e proprio boom, basti pensare al caso dei mercati emergenti. Caso più eclatante è l’Asia dove società come Alibaba, tramite Ant Financial, è in grado di fornire servizi di pagamento mobile con Alipay a 520milioni di utilizzatori (pari quasi al numero di utenti con carte Visa e Mastercard messi assieme), oltre che sevizi d’investimento tramite un fondo Money Market da $200miliardi di masse. Anche un continente come l’Africa ha i suoi casi di successo. Le società di telecomunicazioni, grazie alla diffusione di smartphone a basso costo riescono ad avere una presenza più capillare rispetto a sportelli bancari e POS. Questo ha portato società di telefonia mobile come M-Pesa in Kenya a divenire un vero e proprio colosso nel sistema dei pagamenti, gestendo transazioni pari al 43% del PIL domestico del Kenya. Guardando a questi fenomeni sembra impossibile che la parte investimenti sia rimasta così indietro, sicuramente la regolamentazione nei paesi Europei e Americani è un freno per le big tech, che preferiscono tenersi lontane dal rischio di divenire eccessivamente regolamentate. In Europa inoltre i modelli distributivi attuali hanno in parte contribuito a ritardare l’adozione di soluzioni fintech. Questo però potrebbe essere solo parte del problema. Negli US dove il modello distributivo è cambiato da parecchi anni, il più grosso RoboAdvisor, Betterment, dichiarava a luglio 2017 circa $10miliardi di asset, un ammontare che in assoluto risulterebbe piuttosto basso anche per una rete italiana. Come accennato in precedenza il problema della fiducia è particolarmente sentito, la customer aquisition per i cosiddetti insurgent (nuovi player tecnologico-finanziari) è troppo costosa, il fattore fiducia in un settore dove la possibilità di subire perdite (legate all’andamento dei mercati) rimane ancora elevata. Allo stesso tempo la conoscenza finanziaria della popolazione è particolarmente bassa. Da un lato serve un brand che rassicuri, dall’altro il rapporto umano ha un forte impatto, “tranquillizza” e aiuta nelle scelte d’investimento.
Rimarrà sempre cosi? CFA Institute, in una ricerca tra i suoi associati presenti in tutto il mondo, ha cercato di rispondervi. Il risultato è che l’88% degli intervistati ritiene che la clientela retail sarà (e dovrà) essere seguita, anche in parte da “macchine”. Il 70% ritiene, inoltre, che questo processo non avverrà per la parte di clientela con patrimoni più elevati, in quanto la complessità della relazione e del patrimonio (al quale aggiungerei la marginalità) rendono preferibile una consulenza più evoluta che può portare a soluzioni più ampie in termini di servizi e di tipologie offerte.
La strada sembra quindi tracciata, almeno per il mercato retail, forse anche grazie a Mifid2. È probabile che, almeno in Europa, sarà il first mover tra i big finanziari, magari in partnership con una dinamica azienda fintech, a muovere il mercato e a porre le basi per una rivoluzione trasformando, come nella favola di cenerentola, una zucca in una carrozza.
*Presidente CFA Society Italy
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