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GSAM, investitori insoddisfatti e confusi

11/6/2012 | Marcella Persola

Secondo un'indagine condotta da GfK Eurisko per conto della banca, gli investitori sono alquanto confusi sulle dinamiche che caratterizzano i mercati. Serve education.


Investitori non soddisfatti sui propri rendimenti, ma anche confusi sulle dinamiche che caratterizzano i mercati e gli elementi che ne sostengono la crescita. E' questa la fotografia che emerge dall'indagine condotta da GfK Eurisko per conto di Goldman Sachs Asset Management.

 

Secondo il sondaggio emerge che il 66% degli investitori italiani si dice non soddisfatto del rendimento ottenuto dai propri investimenti, ma la maggior parte (61%) si aspetta un rendimento positivo dal proprio portafoglio nel corso dei prossimi dodici mesi. Ma nonostante queste aspettative non si dice intenzionato a modificare la propria asset allocation. Anzi predomina un atteggiamento di "stay & hold". A conferma che si vuole migliorare il proprio rendimento, ma non si sa come. 

 

E questo si conferma anche nell'idea su quali mercati investire. A livello di mercati sviluppati la Svizzera e la Germania sono le economie considerate più solide, e la Cina è considerata un'economia più solida rispetto al mercato USA. Ma sebbene la crescita dei mercati emergenti sia considerata robusta, la maggior parte degli investitori continua a pensare che i paesi del "Vecchio Mondo"  abbiano fondamentali macro più solidi, dei consumi più elevati e delle valute più forti rispetto all'economie emergenti, tanto che questi mercati nonostante la crescita avuto sono considerati più rischiosi. 

 

Sul fronte della volatilità la maggior parte degli investitori ha un atteggiamento maggiormente pessimista rispetto agli operatori, in quanto il 26% crede che l'instabilità dei mercati durerà per due anni, mentre il 18% per ancora tre anni. La volatilità, inoltre, gioca un ruolo fondamentale nella propensione al rischio degli investitori, infatti l'azionario è più rischioso per il 79% degli intervistati; l'obbligazionario risulta essere più rischioso per il 56% degli intervistati.

 

Ma quali sono le ragioni che hanno condizionato la volatilità dei mercati? Gli investitori su questo hanno pochi dubbi, la crisi del debito sovrano in Europa è la prima, indicata dal 57% degli investitori, così come anche le ripercussioni della crisi finanziaria del 2008, per il 39%.    

 

Secondo Giancarlo Fonseca, head of retail distribution di GSAM "Questa indagine dimostra che la maggiorparte degli investitori italiani si aspetta che la volatilità dei mercati continui e la percezione dle rischio è aumentata rispetto a tutte le classe di attività. In questo contesto vediamo emergere opportunità di investimento - i portafogli obbligazionari con approccio globale e i mercati azionari dei Growth Markets e degli altri paesi emergenti ci sembrano particolarmente interessanti".

 

Teoria confermata anche da Kathryn A. Koch, managing director Investment Management Division che nell'incontro di presentazione della ricerca, avvenuto quest'oggi, ha sottolineato che è necessario ridefinire il concetto di mercati emergenti.

 

Nel futuro oltre ai famosi BRIC, il cui acronimo è stato coniato da Jim O'Neill, di GSAM circa 10 anni fa, nel 2001, si dovranno aggiungere i NEXT 11, e di questi paesi 8 (area BRIc più Sud Corea, Messico, Indonesia e Turchia) saranno i maggiori contributori alle crescita globale nella prossima decade. Non solo. Secondo l'esperta di GSAM il loro peso diventerà sempre più importante anche a livello di capitalizzazione di mercato azionario. Le previsioni di GSAM sono che nel 2020 nella composizione della capitalizzazione del mercato mondiale azionario il 36% dipenderà dai BRIC e NEXT 11 contro il 27% degli USA e il 29% dei mercati sviluppati. Percentuale che è destinata a crescere di un ulteriore 10% al 2030, contro una perdita del 7 e del 4% rispettivamente per mercati sviluppati e USA. 

 

Tutto questo per confermare che è adesso il momento di investire in mercati ermegenti. Anche se le migliori opportunità, secondo l'esperta, non solo derivanti da un investimento diretto, ma attraverso degli strumenti che consentono di diversificare.

 

 

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