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9/20/2021 | Max Malandra
Nel corso della conferenza organizzata da Anasf al Salone del Risparmio 2021 intitolata “Il portafoglio: costruzione, storytelling e nuove opportunità di mercato”, Ugo Pomante, professore di Economia degli Intermediari Finanziari Università di Roma "Tor Vergata", ha riassunto in otto le regole del buon consulente finanziario. Vediamole in dettaglio.
Crea soluzioni valide per i diversi profili di clientela.
Regole del buon consulente finanziario. I consulenti devono avere una batteria di portafogli che incorporino livello di tolleranza al rischio e orizzonte temporale adeguati. Costruire il portafoglio secondo un processo disciplinato e per fasi successive Think global, vale a dire: non sovrapporre né trascurare mercati e asset class.
Attenzione a market neutrality e home bias. Questo significa tener conto dei pesi dell’allocazione rispetto alle grandezze finanziarie e avere quindi portafogli coerenti con le dimensioni dei mercati negli indici benchmark. Scegliere prodotti adatti per realizzare una corretta asset allocation Creare per diversi segmenti di clientela, soluzioni diverse ma coerenti Stabilire i confini dell’autonomia gestionale
Come è possibile migliorare il servizio al cliente, alla luce delle attuali condizioni macroeconomiche e finanziarie? Ecco alcuni suggerimenti di Pomante. Nel comparto obbligazionario siamo nella situazione peggiore, con rendimenti zero e rischio tasso altissimo. Una possibilità è quella di ridurre i bond “all maturities” con bond a breve e aumentare la quota di azionario a scapito dell’obbligazionario. La minore volatilità dei bond a breve (che pure non rendono nulla) permette di aumentare la percentuale di azioni: il risultato è quello di mantenere invariata la volatilità complessiva di portafoglio ma alzare i rendimenti.
In alternativa usare bond inflation linked, convertibili, oppure soluzioni di private debt ormai disponibili anche per clienti retail. Per quanto riguarda l’azionario ormai la Cina potrebbe diventare asset class autonoma, slegata quindi da Emergenti ed Emergenti Asia. Un altro modo per risistemare l’asset allocation è utilizzare lo strumento degli alternativi come una vera e propria classe di attivo: consentono di recuperare in diversificazione, abbassano correlazione e portano rendimento al portafoglio. Una asset class che potrebbe arrivare al 20% della componente equity.
Come? Utilizzando ad esempio commodity, tematici, certificati. Infine il tema del Goal based investing (GBI): investire cioè in base agli obiettivi indicati dal cliente. Si tratta di un sistema che presenta una serie di punti a favore: assicura la creazione di soluzioni personalizzate, definisce portafogli in base a obiettivi clienti, riconosce la necessità di mutare nel tempo la struttura di investimento, incorpora la necessità di un piano secondo PAC.
I destinatari sono persone o famiglie che hanno la necessità di pianificare gli investimenti rispetto a esigenze e obiettivi. Il GBI serve a categoria retail oppure affluent, per i quali la scarsità risorse rappresenta una priorità. L’obiettivo in questo caso muta: non è più il massimo rendimento dato un certo grado di rischio, ma la massima probabilità di conseguire il capitale necessario per l’obiettivo alla data stabilita. Negli Stati Uniti la quota di clienti che utilizza il GBI si attesta intorno al 20%, da noi è ancora quasi sconosciuta.
Ma chi potrebbe lanciarlo? Realtà innovative e flessibili, oppure reti più giovani e permeabili quindi all’innovazione. Si rivolgono a una clientela giovane e meno agiata, in genere con orizzonti temporali lunghi Per sviluppare il modello occorre: identificare gli obiettivi di lungo termine (per quanti anni contribuisco, con quanto, con che frequenza, ecc): ad esempio con tre obiettivi posso preparare altrettanti portafogli, oppure averne uno solo in grado di ottemperare ai plurimi obiettivi. Serve anche la volontà del consulente per elaborare i flussi di versamenti e i flussi di uscita (che coincidono con gli obiettivi).
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