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3/11/2013 | Roberto Abate
Le elezioni italiane hanno scosso l'Europa, ma non si può ancora parlare di crisi, perché per il momento non ci saranno nuove elezioni. L'austerità, tuttavia, non sembra essere all’ordine del giorno, qualunque nuovo governo si formerà nelle prossime settimane. Di seguito il commento di Stuart Thomson (nella foto), co-manager del fondo Ignis Absolute Return Government Bond.
ll risultato inconcludente delle ultime elezioni fa supporre che probabilmente qualsiasi governo di coalizione sarà estremamente precario. Inoltre il 55% dei consensi confluiti verso i partiti di Berlusconi e Grillo, che si oppongono a un aumento dell’austerità, indica come i veri perdenti di queste elezioni proprio l’austerità fiscale e le riforme strutturali. Per di più il partito di Grillo intende promuovere un referendum sull’uscita dalla moneta unica, ma noi non crediamo che questo accadrà.
Benché l’uscita dall’euro possa essere nell’interesse individuale dell’Italia, non è certo nell'interesse del resto d'Europa, soprattutto della Germania. Quest’ultima infatti è fortemente esposta a una disgregazione dell’euro a causa degli squilibri legati al sistema Target 2, e una disgregazione della moneta unica finirebbe per provocare l’indebolimento della spinta verso riforme strutturali e austerità fiscale. Un tale risultato rafforzerà il nuovo realismo tra i politici europei in risposta alla recessione nella periferia, che si è rivelata più grave del previsto e spingerà il Fondo Monetario a riconoscere che i moltiplicatori negativi legati all’austerity rappresentano la prova della maggiore tolleranza verso i profili di disavanzo della periferia e della Francia.
La risposta della Germania alle elezioni italiane potrebbe essere condizionata dalle elezioni federali, che si terranno tra pochi mesi, dovrà quindi essere la BCE a reagire al fine di migliorare lo scenario di crisi. La banca centrale ha due strumenti che possono provocare una reazione positiva. Il primo è rappresentato dai tassi di interesse, con due opzioni: ridurre il corridoio tra il tasso di rifinanziamento a due settimane e il tasso di sconto, oggi rispettivamente a 0,75% e 0%, che potrebbe fornire uno stimolo lieve; oppure ridurre ulteriormente il tasso di sconto.
Questa operazione potrebbe essere espressamente concepita per indebolire la valuta, al fine di migliorare sia la competitività verso l’estero sia la competitività interna della periferia. Un'alternativa sarebbe quella di mettere pressione sul nuovo governo italiano perché richieda l’aiuto del meccanismo europeo di stabilità. Questo programma condizionale farebbe scattare operazioni di mercato aperto da parte della banca centrale consentendo così alla BCE di acquistare obbligazioni italiane a breve scadenza.
Questo intervento avrebbe due effetti positivi: ridurre i costi di finanziamento per l'Italia e trasferire il debito dal settore privato al settore pubblico. Tuttavia, il Meccanismo di Stabilità, che impone alcune condizioni su bilancio e riforma fiscale, rappresenta una perdita implicita di sovranità in un Paese dove gli elettori hanno chiaramente respinto l'imposizione di obiettivi esterni relativamente a questi vincoli. L’ineluttabilità di altre elezioni ha per conseguenza che l'Italia cercherà di evitare l’imposizione di questi vincoli, anche se applicati in modo più lieve da un gruppo di economie core più realistiche.
La capacità dell’Italia di evitare l’imposizione di tali vincoli dipenderà dal suo rapporto Debito/PIL. Quest’ultimo nel 2012 è salito al 128% in rapporto al PIL, mentre l'economia è rimasta bloccata in una trappola del debito. Il PIL nominale nel 2013 dovrebbe crescere dello 0,6% e, assumendo che i rendimenti restino stabili sulle medie dello scorso anno, il governo deve raggiungere un avanzo primario di bilancio del 4% per stabilizzare il debito ai livelli attuali. Questo, tuttavia, sembra un obiettivo difficile da raggiungere, il che suggerisce che il rapporto salirà sopra il 130% nel corso del 2013. Questo calcolo è molto sensibile ai tassi di interesse e tassi di crescita.
Di conseguenza, qualsiasi aumento dei rendimenti italiani rispetto ai livelli attuali insieme a nuove delusioni legate alla crescita economica, faranno aumentare le pressioni sul nuovo governo perché accetti di attivare gli aiuti europei.
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