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11/30/2024 | Francesco D'Arco
Alla fine di novembre torna in prima pagina il grande risiko che porterà, se le operazioni annunciate arriveranno a destinazione, ad una ridefinizione degli equilibri anche nel mondo della consulenza finanziaria e del risparmio gestito.
Per quanto riguarda il risparmio gestito gli occhi sono puntati sul possibile accordo tra Natixis e Generali. Anticipato all’inizio della settimana dal Financial Times, l’indiscrezione si è arricchita di particolari alla fine della stessa settimana grazie ad un articolo de Il Sole 24 Ore: in estrema sintesi ad oggi sembrerebbe che il progetto sia ancora in una fase interlocutoria (il CdA delle Assicurazioni Generali non avrebbe ricevuto nulla di ufficiale), ma lo schema vedrebbe Generali Investment Holding avere il 50% e il colosso francese l’altro 50%, con una governance favorevole, all’inizio, alla compagine italiana che potrebbe nominare il ceo. A livello di numeri la dote di Natixis ammonterebbe a 1.200 miliardi di euro (anche se qualcuno ipotizza che in realtà la dote dei francesi sarà inferiore) e quella di Generali Investments a 650 miliardi.
Impatti sull’industria del risparmio gestito italiano li registreremo anche con l’eventuale Ops di Unicredit su Banco BPM. Come sottolineato da molti analisti, uno degli obiettivi di Andrea Orcel è quello di acquisire la casa prodotto di riferimento del gruppo BPM, ovvero Anima SGR, per poter tornare a svolgere un ruolo da protagonista nel settore, dopo la cessione di Pioneer ad Amundi che, ricordiamolo, fino al 2027 ha in essere una partnership commerciale con il gruppo Unicredit.
Ma gli equilibri cambierebbero anche sul fronte della consulenza finanziaria/private banking. In questo caso, non tanto (e non solo) per l’arrivo nella galassia Unicredit di realtà come Banca Aletti e Banca Akros, ma per la competizione che si potrebbe aprire sui territori oggi coperti da BPM nel caso di fusione tra le due realtà.
Dati alla mano il Gruppo BPM vanta 1.436 sportelli, 1.097 nel solo Nord Italia (tra Banco, Banca Aletti e Banca Akros, dati a fine 2023). Unicredit conta circa 2.270 sportelli (sempre alla fine del 2023). Considerando questi numeri, e le sovrapposizioni in alcune aree d’Italia, gli analisti si aspettano che, su questo fronte, l’Antitrust potrebbe chiedere all’eventuale nuova realtà di cedere parte di questi sportelli (come avvenuto nel recente passato con l’operazione Intesa Sanpaolo-Ubi Banca che portò alla cessione di una quota di filiali a Bper - nel caso di Unicredit-BPM c’è chi ipotizza una quota di sportelli da cedere pari a circa il 5% del totale del futuro polo).
Ovviamente non è possibile immaginare quale possa essere la realtà che andrà a beneficiare di questa potenziale cessione di sportelli, ma di certo, se l’operazione Unicredit-BPM dovesse andare in porto, verrebbe a saltare l’ipotesi che vede BPM unirsi a MPS per dare vita al tanto desiderato “terzo polo” che per molti, politica compresa, deve perseguire la missione di sostenere la crescita della tante PMI che oggi non trovano supporto nei grandi gruppi quali Intesa Sanpaolo e Unicredit, non perché non siano attenti alle aziende, ma perché nella logica di sviluppo di un grande gruppo inevitabilmente si assiste all’esclusione di una quota di realtà medio-piccole dai servizi bancari.
Ed è qui che potrebbero entrare in campo attori che non sono coinvolti nel grande risiko in atto, ma che hanno tutti i numeri e la presenza territoriale adatta per avvicinare quella clientela imprenditoriale che non rientrerà nei piani del “nuovo polo bancario”.
Di quali realtà sto parlando? Ovviamente del mondo delle cosiddette banche-reti e banche private. Se provassimo a ragionare in termini di capitalizzazione delle singole banche noi oggi avremmo, guardando le banche, ai primi 10 posti: Intesa Sanpaolo (64,25 miliardi di euro di capitalizzazione, fonte Bloomberg), Unicredit (59,28), Mediobanca (11,63), Banco BPM (10,85), FinecoBank (9,21), Banca Mediolanum (8,16), BPER (8,14), MPS (7,7), Banca Generali (5,13) e Credem (3,46). Il terzo polo di cui si parlava prima della mossa di Orcel avrebbe raggiunto una capitalizzazione di quasi 20 miliardi. Se l'Ops di Unicredit va in porto si potrebbero trovare nella condizione di coprire il vuoto lasciato dal “terzo polo mai nato” proprio quelle realtà di private banking e consulenza finanziaria che, insieme, superano abbondantemente i 45 miliardi di capitalizzazione e che, soprattutto, da tempo dichiarano di voler servire il mondo delle piccole e medie imprese italiane.
Se quindi, da un lato, c’è chi spera nella nascita di un terzo polo ben definito, dall’altro c’è un blocco di banche che già da anni svolge il ruolo di terzo polo disaggregato e che forse, oggi, fa il tifo per l’operazione Unicredit-BPM.
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