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Finanza comportamentale, applicata soltanto da un CF su cinque

10/4/2024 | Daniele Barzaghi

Nicola Ronchetti, fondatore di Finer, ha presentato una ricerca su un campione di 9.160 investitori e 5.390 professionisti


Il 34% dei consulenti finanziari dichiara di non conoscere nel dettaglio i principi della finanza comportamentale. Tra i clienti ovviamente la percentuale è ancora più alta. Il potenziale è enorme” sferza la platea dell’EFPA Meeting 2024, Nicola Ronchetti (in foto), fondatore e a.d. di Finer - Finance Explorer, approcciando il tema cui è dedicata l’edizione di quest’anno del convegno della principale associazione europea di certificazione delle competenze dei financial advisor.

Dal campione di 9.160 investitori finali (segmentati per asset finanziari e coorte generazionale) e 5.390 professionisti (CF e PB) emerge che, come da tradizione, i clienti più consapevoli dei principi della finanza comportamentale sono in maggioranza uomini, anziani (boomer o silent generation), settentrionali, con livello di istruzione alto così come, e forse è un elemento più particolare, più ricchi, molto bancarizzati e già seguiti da consulenti patrimoniali.

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Se le conoscenze sul tema sono patrimonio acquisito per il 66% dei consulenti finanziari italiani, tale percentuale sale al 79% nel caso degli advisor con certificazione EFPA. E ancora una volta c’è correlazione con istruzione e età, anche se in questo caso sono i giovani ad avere maggiore confidenza con la finanza comportamentale, perché freschi di studio.

Ma le conoscenze teoriche sono poi tradotte in pratica?” domanda alla platea Ronchetti. “Qui il dato è deludente: risulta farlo soltanto un terzo dei professionisti”.

“E non è finita” rincara l’analista: “perché io posso applicare la finanza comportamentale in tanti modi, da elemento di dialogo a strumento per la costruzione di un portafoglio. E scopriamo che soltanto un CF su cinque utilizzano tali competenze relativamente alle scelte di investimento dei clienti. Resta pertanto ancora soltanto uno strumento utile al dialogo, senza concretezza”.

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“Chi la conosce e la applica agli investimenti viceversa la ritiene utilissima. Qual è l’utilità concreta? Esercitare scelte più consapevoli, migliorare il dialogo tra professionista e cliente, superare le barriere all’investimento e godere di una maggiore tranquillità. La finanza comportamentale aiuta pertanto a liberare liquidità; a convertirla nel risparmio gestito”.

Rilevante è anche la consueta analisi sui bias cognitivi o comportamentali più diffusi. Sono sei: l’avversione alle perdite – che hanno sempre un effetto maggiore rispetto ai guadagni – (per l’82% dei sondati), l’effetto gregge (75%), l’inerzia o reiterazione di comportamenti (62%), l’ancoraggio alle prime informazioni ricevute (51%), l’eccesso di fiducia (44%) e l’errore di attribuzione (38%), inteso come tendenza ad attribuire agli altri le colpe e a sé i meriti”.

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“E questi errori non sono ugualmente diffusi tra i vari cluster di analisi” spiega il fondatore di Finer. “L’avversione alle perdite è più accentuata tra la clientela private o superiore (con patrimoni investibili oltre i 500.000 euro), l’inerzia e l’ancoraggio tra gli affluent (tra i 100.000 e i 250.000 euro) ed effetto gregge ed errore di attribuzione tra i mass market (meno di 100.000 euro)”.

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“Interessantissima è anche la divisione per genere, con l’avversione alle perdite, l’eccesso di fiducia e l’errore di attribuzione più propri della clientela maschile e ancoraggio e inerzia più tipici invece delle donne" commenta Ronchetti.

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Così come la clusterizzazione per generazioni con l’avversione alle perdite tipica nella silent generation (nati tra il 1925 e il 1945), l’inerzia e l’ancoraggio nei boomer (1946-64), l’eccesso di fiducia per la generazione X (1965-79) e per i millenial (1980-96) e l’effetto gregge e l’errore di attribuzione per la generazione Z (1997-2012)”.

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