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CF, cambiate mestiere (parte 1)

11/23/2024 | Carlo Emilio Esini*

La nostra epoca è ricca di fenomeni nuovi che sono sotto gli occhi di tutti, ma anche di cambiamenti strutturali di vecchi problemi come la truffa.


Sono oltre vent’anni che scrivo in queste pagine e mi accingo a lasciare lo spazio che la rivista (ADVISOR - Newsmagazine della consulenza finanziaria, ndr) mi ha concesso a nuovi e più meritevoli esperti del settore.

Voglio quindi lasciare ai pochi consulenti finanziari che mi leggono e che in questi anni mi hanno manifestato non poco affetto e considerazione, un suggerimento per il futuro: cambiate mestiere.

Non tutti, certo, non subito, ma cercate di immaginare le vostre competenze impiegate in modo diverso dal logoro modello attuale.

Le lamentele dei consulenti finanziari sono perfettamente giustificate dal ruolo marginale cui li hanno costretti le politiche distributive delle mandanti e l’ignavia del legislatore anche europeo: chiamati consulenti ma nella sostanza agenti di commercio (ovvero venditori) costruiscono e mantengono il rapporto fiduciario con un cliente che però non diventa mai un loro asset; se vogliono operare come indipendenti i vincoli normativi e le prassi di mercato incancrenite in oltre trent’anni li rendono economicamente fragili. Sono poi esposti quotidianamente a rischi professionali enormi e spesso finiscono per essere i vasi di coccio tra clienti e intermediari.

Nonostante ciò io ho incontrato tra le centinaia di operatori che ho conosciuto una maggioranza di persone per bene piene di buona volontà e, oltre a una normale percentuale di delinquenti, alcuni professionisti assolutamente eccellenti, dotati di non comuni skills umane e professionali di gran lunga superiori a tutti i banchieri con cui ho avuto a che fare.

Ebbene, per non sprecare i propri talenti i più intraprendenti dovrebbero scartare di lato e passare finalmente senza esitazione dalla parte del cliente.

Se una cosa non è mai cambiata dall’avvio della distribuzione finanziaria è l’asimmetria informativa tra cliente e intermediario e da essa derivano tutti i guai per l’investitore retail; il consulente è l’unica figura professionale in grado di rovesciare la situazione se si pone a fianco del cliente.

In parole povere, anziché promuovere l’operatività finanziaria del cliente per far guadagnare la mandante il consulente potrebbe lavorare su quella già svolta e, come mandatario del cliente o come cessionario dei diritti, promuovere e gestire pretese di tutela o risarcitorie, singole e collettive. 
Di più; in Italia non esiste un organismo autorevole e realmente indipendente che:

  • valuti i prodotti finanziari distribuiti dalle reti e attribuisca loro un rating attendibile,
  • promuova class actions ed informi il pubblico sulle opportunità di risarcimento,
  • svolga attività di recovery di prodotti in default o gestione collettiva della classe dei clienti nelle crisi di banche e intermediari.

Non credo sia impossibile creare e promuovere un ente di questo genere per un tempo sufficiente a farne un punto di riferimento a livello nazionale.

Ma il momento è buono per molte altre iniziative anche di respiro più ampio.

Sappiamo che quando in una società si sviluppano fenomeni nuovi inevitabilmente si crea una domanda di regolamentazione o di risoluzione di controversie da essi generate.

La nostra epoca è ricca di fenomeni “nuovi” che sono sotto gli occhi di tutti ma anche di cambiamenti strutturali che hanno portato modificazioni qualitative e quantitative a fenomeni vecchi come il mondo: è il caso della truffa.

Facciamo alcune premesse (ma ci sarebbe da scrivere un libro).

  1. Le fake news, o meglio, il falso palese affermato come verità è una componente ormai essenziale della cultura globale; oggi un candidato alla presidenza (che, quando leggerete queste righe spero sia divenuto solo un triste ricordo del passato) afferma che a Springfield gli immigrati mangiano i cani e che i metereologi democratici orientano il percorso dei tornados e trova milioni di persone che ci credono.
    Ciò significa che il livello di senso critico si è molto ridotto e che l’uomo medio è disposto ad accettare come vera la notizia di un evento molto improbabile o addirittura impossibile molto più di prima quando l’esperienza era soprattutto fisica e non virtuale.
  2. La personalizzazione dell’esperienza di navigazione derivante dall’uso di algoritmi che macinano continuamente i nostri dati personali e il marketing che ormai da vent’anni cerca di convincerci che tutto ruota intorno a noi, rendono del tutto verosimile per l’utente medio di servizi online che gli venga presentata un’opportunità unica di guadagno o di danno da evitare.
  3. Anche se facciamo finta che la globalizzazione non sia mai esistita raccontandoci la fiaba dell’identità nazionale alla sagra della salsiccia, l’operatività globale dei truffatori è una realtà; pensiamo solo al fenomeno delle c.d. Scam Cities al confine cinese cui anche l’UN Office on Drugs and Crime ha dedicato un recente studio.

Non è un caso che le truffe online siano un fenomeno letteralmente esploso negli ultimi anni; secondo un report piuttosto risalente di GASA (Global Anti Scam Alliance) su 48 Paesi, le segnalazioni di truffe sono aumentate del 10,2%, da 266 nel 2020 a 293 milioni di segnalazioni nel 2021. Il denaro perso in truffe è aumentato del 15,7%, da 47,8 miliardi di dollari nel 2020 a 55,3 miliardi nel 2021.

La stessa fonte riferisce oggi che le truffe online sono il tipo di crimine più segnalato. “La maggior parte dei paesi ora afferma che tra il 20% e il 50% di tutti i crimini segnalati sono legati alle frodi online. Questa è solo la punta dell’iceberg, poiché solo il 7% di tutte le vittime di truffe denuncia il crimine alle forze dell’ordine.” e parla addirittura di circa 1,026 trilioni di dollari persi l’anno scorso.

Un’opportunità che questo scenario offre la vedremo nel prossimo appuntamento.

 

*partner Studio Legale Associato Esini & Esini

Articolo tratto dal numero di novembre di ADVISOR, 
disponibile in edicola oppure qui in abbonamento cartaceo o digitale

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