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5/12/2018
Il processo di “ottimizzazione” della rete Sanpaolo Invest - come definito dalla stessa società - che prevede azioni mirate sui professionisti con portafogli inferiori ai 5 milioni di euro ha aperto un dibattito che ha portato i più critici a parlare di “epurazione”, i più cinici di “normale evoluzione” di un’azienda. Lasciando ad altri il compito di analizzare nei dettagli le dinamiche di questa vicenda è indubbio che l’industria deve riflettere sulla reale identità delle reti. Quali sono gli standard indispensabili per sopravvivere in un contesto sempre più complesso? Le reti a quale clientela si rivolgono? E che tipo di consulente cercano? Per avviare una riflessione costruttiva su questi punti credo sia opportuno partire dai numeri dell’industria. E quelli che, a mio avviso, forniscono una prima chiara indicazione sono quattro: 518; 22.127; 23; 4.049.380. Il primo - 518 - si riferisce ai miliardi complessivamente gestiti dalle realtà monitorate da Assoreti alla fine del 2017. 22.127 sono i cf operativi nelle reti (con un portafoglio superiore a zero). Il terzo numero - 23 milioni - è il portafoglio pro-capite medio dei cf. Infine, 4.049.380 è il numero di famiglie servite dalle reti. Se confrontiamo questi quattro numeri, relativi al 2017, con gli stessi dati registrati da Assoreti nel 2006 troviamo un primo importante spunto di riflessione: 11 anni fa il patrimonio complessivo era fermo a 224 miliardi, i cf operativi erano 29.505, il portafoglio medio pro-capite era di soli 7,6 milioni e i clienti erano sempre 4 milioni (4.068.641). Ci troviamo di fronte a un settore che ha visto diminuire il numero di professionisti (-25%), aumentare il patrimonio gestito (+131%) e il portafoglio medio pro-capite (+202%), mantenere stabile il numero di clienti (-0,5%). Se si esclude, senza offesa per le capacità dei cf, l’ipotesi che tutti i 4 milioni di clienti abbiano visto in 11 anni raddoppiare il proprio patrimonio, è ipotizzabile pensare che tra il 2006 e il 2017 il target preso di mira dalle reti sia notevolmente cambiato: la clientela mass market/affluent sta gradualmente lasciando il posto ad una clientela medio/alta che, magari, può apprezzare più facilmente un servizio evoluto “tailor made” (pagando la fee di consulenza). Se questo è lo scenario di partenza la domanda principale da porsi è: chi può oggi intraprendere l’avventura del consulente finanziario nel mondo delle reti? E le reti hanno definitivamente abbandonato il mondo mass market/affluent o è solo una fase di passaggio dovuta all’entrata in vigore della MiFID II? Difficile azzardare una risposta definitiva anche se i dati sembrano indicare una via ben precisa e confermata anche dal turnover nelle reti: analizzando i cambi di casacca registrati nell’albo OCF emerge che, mediamente, negli ultimi due anni, circa il 2,5% degli iscritti all’Albo ha cambiato società. E se ci focalizzassimo su coloro che hanno scelto di entrare nel mondo delle reti emerge che quasi il 50% di questi nuovi ingressi arrivano dalle banche commerciali/private (principlamente direttori di filiali o grandi portafoglisti). Il quadro complessivo non sembra lasciare molte speranze alla clientela mass market/affluent. Ma forse neanche a chi non riesce a superare nei primi tre anni di attività la soglia dei 5 milioni di portafoglio.
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