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6/12/2023 | Marcella Persola
"Sotto la spinta della riapertura della Cina, i paesi emergenti cresceranno circa del 4% contro una crescita dei paesi occidentali dello 0.9% e anche nel 2024 il gap si manterrà a livelli elevati" sottolinea Giovanni Buffa, senior fund manager azionario, AcomeA SGR che illustra le prospettive dei mercati in via di sviluppo con un occhio di attenzione per Cina e Brasile.
Per molti il 2023 potrebbe essere l’anno dei Paesi emergenti. Cosa ne pensa?
Nei primi 6 mesi dell’anno i mercati emergenti hanno sottoperformato i mercati sviluppati. Tuttavia, riteniamo che nella seconda metà dell’anno il trend potrebbe invertirsi per svariati ragioni. Anzitutto da un punto di vista di crescita, il differenziale tra mercati emergenti e mercati sviluppati nel 2023 dovrebbe attestarsi oltre il 3%. Sotto la spinta della riapertura della Cina, i paesi emergenti cresceranno circa del 4% contro una crescita dei paesi occidentali dello 0.9% e anche nel 2024 il gap si manterrà a livelli elevati. Le valutazioni dei mercati emergenti, a differenza di quelli sviluppati, trattano poi a livelli molto attraenti e sono sui minimi da almeno 10 anni, sia in termini assoluti sia in termini relativi, con le aspettative di crescita degli utili incorporate nei prezzi in territorio negativo per il 2023. I mercati emergenti hanno poi storicamente mostrato una correlazione negativa con l’andamento del dollaro americano; questo è special modo importante in un contesto in cui il ciclo dei rialzi della Fed potrebbe essere vicino alla conclusione. Da un punto di vista prettamente macroeconomico le economie emergenti sono poi più solide rispetto a qualche anno fa essendo meno vulnerabili a shock esterni. Gli investitori istituzionali, che negli ultimi anni hanno sovrappesato i mercati occidentali e in particolare l’azionariato americano, potrebbero infine diversificare i loro investimenti vista la congiuntura non particolarmente favorevole che si prospetta per le economie occidentali.
Ma mercati emergenti è un concetto molto ampio, dove posizionarsi?
In questo momento il nostro focus è su due paesi: Cina e Brasile. Il paese del dragone è in questo momento un investimento abbastanza controverso. Dopo la fine della Zero Covid Policy, il mercato si aspettava una ripresa economica molto repentina trainata dai consumi. La crescita economica c’è stata, ma si è rivelata inferiore alle aspettative. Dopo due anni di pesante lockdown i consumatori cinesi sono ancora abbastanza restii a spendere come testimoniato dal crescente livello dei depositi bancari e dalle ultime trimestrali delle aziende più legate all’economia domestica. Ad accentuare il pessimismo sono un mercato immobiliare ancora in crisi, una disoccupazione giovanile molto elevata e le tensioni geopolitiche soprattutto con gli Stati Uniti e Taiwan. La nostra view sul paese non è comunque negativa; la ripresa richiederà più tempo ma i consumi domestici dovranno necessariamente tornare ad essere il traino dell’economia e ci aspettiamo manovre di stimolo in questo senso da parte del governo. Le tensioni con i paesi occidentali sono destinate a perdurare ma riteniamo che la Cina e l’Occidente saranno più rivali commerciali che antagonisti in un clima da guerra fredda, visto che le relazioni commerciali tra i due blocchi sono ancoro troppo forti per essere compromesse. In sostanza lo scenario più probabile ad oggi è quello di de-risking più che de-coupling. I cinesi sono sempre stati particolarmente pragmatici (basti pensare a come hanno posto fine alla Zero Covid Policy in pochissimo tempo) e in un momento dove la loro economia sta ancora carburando post lock-down l’ultima cosa che vogliono è una nuova crisi internazionale. Il Brasile invece è un mercato che tratta a valutazioni molto appetibili e che è stato eccessivamente penalizzato dalla sfiducia degli investitori verso il governo Lula e da tassi di interesse tra i più elevati al mondo. Il governo, pur mantenendo un indirizzo di sinistra, si è tuttavia dimostrato abbastanza equilibrato nelle sue scelte di politica economica con l’approvazione del fiscal framework ben accolto dal mercato. L’inflazione sta poi rallentando sensibilmente lasciando spazio ad un taglio dei tassi nella seconda parte dell’anno che dovrebbe beneficiare soprattutto quei settori a lunga duration come gli e-commerce e l’health care.
Oltre agli emergenti, avete una importante focalizzazione sul Giappone, per quali ragioni?
Il Giappone è da sempre stato un mercato molto trascurato dagli investitori nonostante rappresenti la terza economia del mondo con un Pil di circa 5 trilioni di dollari. In questo momento ci sono due dinamiche da monitorare con attenzione: l’inflazione che, nella sua componente core, è oltre il 4%, e i continui miglioramenti della corporate governance e delle politiche di remunerazione degli azionisti. La prima variabile macro potrebbe portare i risparmiatori a riconsiderare l’allocazione degli oltre 7 trilioni di giacenze bancarie dove storicamente la componente equity è sempre stata molto bassa. Valutazioni di mercato contenute unite a crescenti buyback, a dividendi più in linea a quelli dei mercati sviluppati, ad un attivismo sempre più pronunciato e a livelli di indebitamento molto ridotti rendono il mercato giapponese ancora particolarmente interessante nonostante il +18% messo a segno nella prima metà dell’anno.
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