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4/15/2019
"Il 2018 è stato un anno disastroso per la Turchia. Il crescente deficit con l’estero ha causato il crollo della lira e creato scompiglio facendo salire esponenzialmente il costo del debito estero per banche e imprese. A sua volta, questo ha frenato bruscamente la crescita del credito, trasformato una fase di boom nelle costruzioni in una crisi e spinto il Paese verso una profonda recessione" è questa l'analisi di Paul McNamara, direttore degli investimenti per le strategie local bond emerging markets di GAM Investments.
"La brusca contrazione della domanda locale ha fatto crollare le importazioni mentre la spinta competitiva derivante dalla svalutazione della moneta ha contribuito a riportare il saldo delle partite correnti da un ampio deficit – il peggiore tra i mercati emergenti – a un avanzo positivo".
L'esperto spiega che queste dinamiche seguono un modello che abbiamo visto ripetutamente nei mercati emergenti: le recessioni rappresentano una cura affidabile contro un ampio deficit commerciale con l’estero. E prosegue: "All’inizio dell’anno, le riserve in valuta estera sembravano in fase di recupero, l’inflazione sui livelli massimi e l’economia in corso di ribilanciamento. La decisione della banca centrale di non tagliare i tassi di interesse a marzo è stata vista come la conferma che la politica economica dovrebbe restare entro i canoni dell’ortodossia".
Ma cosa ha fatto il governo per ovviare le conseguenza di questa congiuntura svavorevole? "Quando gli investitori si sono spaventati, le autorità non sono riuscite a operare una stretta (per esempio alzando i tassi di interesse). Al contrario sembra che il governo abbia chiesto in via informale alle banche turche di non erogare prestiti agli stranieri. Di conseguenza, gli stranieri che avevano bisogno di moneta turca (per gli scambi commerciali) sono stati costretti a rivolgersi al piccolo mercato di lire offshore. Il risultato è stato un forte aumento dei tassi offshore (che hanno toccato il 1300% mercoledì 27 marzo), ma anche una stabilizzazione della lira di breve durata poiché la vendita di valuta estera è diventato l’unico modo in cui gli stranieri potevano procurarsi lire turche".
In conclusione quindi, secondo McNamara: "Crediamo che, in futuro, la Turchia abbia urgente bisogno di segnalare che sta tornando entro in canoni dell’ortodossia per stabilizzare il suo sistema finanziario. La lira probabilmente perderà ancora valore, almeno temporaneamente, ma la trasformazione della bilancia dei pagamenti dovrebbe aiutare. Se il governo invece tentasse un’espansione indiretta attraverso le banche statali, persuadesse la banca centrale a tagliare i tassi o mettesse in pericolo i progressi fatti finora, le conseguenze potrebbero essere gravi".
"Gli aspetti principali che monitoreremo sono la politica monetaria, il livello delle riserve in valuta estera e l’attività di credito da parte delle banche pubbliche. Per il settore esterno, la Turchia è molto vulnerabile all’aumento del prezzo del petrolio. Mentre gli investimenti turchi appaiono convenienti da tutti i punti di vista, e a differenza dello scorso anno la bilancia dei pagamenti è solida, il Paese difficilmente sarà in grado di deviare a lungo da una politica ortodossa senza gravi conseguenze".
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