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9/25/2017 | Didier Saint-Georges*
Pubblichiamo un intervento di Didier Saint-Georges, managing director e membro del comitato investimenti, che parteciperà assieme a Rose Ouahba, responsabile fixed income, al Carmignac Investment Seminar, in programma a Roma il 3 ottobre 2017 (10,30) al The Westin Excelsior, in via Vittorio Veneto 125 e a Milano il 4 ottobre (10,30) a Palazzo Parigi, Corso di Porta Nuova 1.
Il dollaro è a rischio. Stiamo assistendo a un evento senza precedenti: una convergenza di fattori economici e politici sta seriamente mettendo in discussione lo status del dollaro statunitense in qualità di valuta dominante a livello globale. Questo potrebbe avere pesanti implicazioni per i mercati, dal momento che ci apprestiamo a entrare in una fase senza la ‘medicina QE’. Pensiamo al fronte politico. Sin dal 2008 il dollaro ha rappresentato senza alcun dubbio la valuta globale favorita da qualsiasi gestore nel mondo.
Tuttavia dall’inizio di quest’anno si è diffusa la (legittima) sensazione che la percezione della supremazia statunitense sia in declino e, allo stesso tempo, che l’Eurozona e la Cina si stiano rafforzando. Ci troviamo nella situazione in cui gli Stati Uniti stanno voltando le spalle alla Germania e, con l’elezione di Macron a giugno, la Germania può finalmente rivolgersi alla Francia e cementare il tanto discusso asse franco-tedesco. Analogamente, la posizione di Xi Jinping in Cina è più forte che mai. L’insieme di questi elementi fa sì che le valute alternative vivano una sorta di rinascita, motivo per cui questi sviluppi sono positivi per euro, yuan e oro.
Ora, se guardiamo agli aspetti economici della vicenda, tutto ciò ha perfettamente senso. I cicli economici presentano delle incongruenze. Infatti, da un lato, negli Stati Uniti l’attività industriale sta decelerando, mentre la capacità d’acquisto è in crescita; questo dipende esclusivamente dal recente calo dei tassi di risparmio e il trend generale è insostenibile. Il prossimo passo nel ciclo economico statunitense sarà un rallentamento dei consumi. Oltreoceano, l’Europa è più forte e molto lontana dal pericolo di rallentamento, situazione speculare rispetto al 2014, quando gli Stati Uniti erano alla guida della ripresa economica e i mercati erano molto più rialzisti verso gli USA rispetto all’Europa. Però attenzione, mentre l’euro forte è positivo per l’Europa, rappresenta una minaccia per i rendimenti delle aziende europee.
L’aumento del valore dell’euro del 10% corrisponde a un abbassamento medio del 5/6% del profitto aziendale. Guardando al futuro, il 7 settembre i riflettori saranno tutti puntati su Mario Draghi. Mantenere un atteggiamento estremamente accomodante sarebbe poco saggio, dal momento che la situazione economica europea non giustifica più alcuna misura d’emergenza. Ma il paradosso del Comma 22 è che se Draghi inviasse un forte segnale a favore del tapering, a scapito del rafforzamento dell’euro, i mercati si preoccuperebbero eccessivamente per il brutale inasprimento delle condizioni finanziarie. È una prova di equilibrio difficile per Draghi e decisiva per mercati.
*Managing Director e Membro del Comitato Investimenti
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